Napoli. «Ricordo ancora quando Fiore mi fece seguire da un investigatore privato perché pensava fossi diventato troppo napoletano per la sua squadra». La voce di Faustinho Cané trema al ricordo di Roberto Fiore, all’epoca dirigente accompagnatore del Napoli, che con il brasiliano ha condiviso decine di successi. E quando si torna a parlare dell’ex presidente azzurro, quei momenti vecchi di mezzo secolo sembrano tornare attuali.
Ricordi, aneddoti, storie di vita vissuta: è tutto lucido nella testa dell’ex attaccante dei partenopei, particolarmente legato all’imprenditore deceduto ieri a 92 anni nella sua abitazione di Posillipo. «Sono arrivato a Napoli nel 1962, sono passati 55 anni. All’epoca Fiore non era ancora presidente, ma un semplice dirigente. Dopo due anni dal mio sbarco in Italia, tra di noi ci fu un primo scontro. Roberto non si fidava di me, pensava fossi furbo. E allora mi faceva pedinare, ricordo che allora non c’era nemmeno la tangenziale. Io ero solito uscire con la mia fidanzata al Vomero, nulla di particolare. Iniziai a capire che qualcuno mi seguisse, poi scoprì che era un vigile urbano. Facevo di proposito giri lunghi, li portavo per le terre di Caserta, credeva chissà dove andassi. Poi a Como, in una doppia trasferta, ci fu un faccia a faccia nello spogliatoio e mi svelò tutto. Reagì male, cose simili non erano nella mia cultura ed io ero ancora molto giovane. Addirittura sbiancai, ma poi chiarimmo e tra noi è nata una bella amicizia».
«Resterà per sempre una stima reciproca – conclude Cané – anche se devo dire che poi per un po’ ci siamo persi di vista. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato in occasione dei suoi 90 anni, festeggiati a Posillipo con un mega party. Dispiace molto, il calcio perde un grande intenditore e un uomo come pochi. Resta il rammarico per non essere riuscito ad allenare a Castellammare negli anni della sua dirigenza».