Ercolano. Marco Cefariello aveva 15 anni, quando il padrino che lo “battezzò” camorrista gli mise in mano una pistola. “Vai e uccidilo” fu l’ordine di morte firmata da Stefano Zeno, boss ergastolano del clan Birra-Iacomino. Quel ragazzino che sarebbe diventato un boss era il killer ideale per regolare un vecchio conto. Quello con il clan Ascione-Papale, la cosca rivale dei Birra nella sanguinosa guerra di camorra.
Un retroscena raccontato – a chiare lettere – proprio da Cefariello, il camorrista bambino che a 13 anni era già un soldato del clan della Cuparella. Il baby boss, oggi pentito, ha raccontato anche questa incredibile storia nei verbali messi nero su bianco davanti al pubblico ministero dell’Antimafia Sergio Ferrigno. Atti finiti al centro di un processo che oggi vede imputate 21 persone accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, rapina e detenzione di armi.
E’ il 19 luglio 2016. Pochi mesi sono passati dal suo pentimento e Marco Cefariello racconta la sua storia all’Antimafia: dal patto di sangue con il clan al breve periodo in cui è stato alla guida della cosca. In mezzo quella missione di morte per bagnare nel sangue la sete di vendetta dei padrini di corso Resina.
“Era il 2001 – racconta il pentito che oggi ha 31 anni – Stefano Zeno mandò una “mmasciata” a questa donna che all’epoca era il capo indiscusso del clan. Zeno mandava a dire a questa donna di parcheggiarsi, cioè di rinunziare definitivamente agli affari e ai traffici criminali in cambio di una somma di 50 milioni di lire”.
La donna di cui parla Cefariello è Immacolata Adamo, moglie del super boss Raffaele Ascione: il padrino defunto in carcere nel 2004. Il racconto del pentito fa riferimento alla presunta “trattativa” che i boss dei Birra misero in piedi – nel 2000/2001 – per essere i padroni di Ercolano. In cambio di soldi, i padrini della Cuparella volevano – secondo i collaboratori di giustizia – far fuori dalle attività criminali gli Ascione. Una proposta che sarebbe però stata bocciata dai vertici della cosca che comanda l’altro lato di corso Resina.
A comunicare il “no” degli Ascione ai Birra – racconta Cefariello – sarebbe stato un “ambasciatore”. Un uomo vicino agli Ascione il cui nome non è però finito al centro delle indagini. Uno “sfregio” che non andò giù a Stefano Zeno che decise così di armare la mano del “camorrista-bambino”.
“Zeno mi diede incarico di compiere l’omicidio di … omicidio che io volontariamente fallì. Il giorno in cui io compì l’agguato in danno di questa persona, egli era venuto a casa di Stefano Zeno per confermare il diniego di “Assunta” alla proposta di accordo avanzata da Zeno”.
Un ordine che a Cefariello, come lui stesso ammette nei verbali, sarebbe stato dato prima che l’ambasciatore degli Ascione comunicasse la decisione del clan di rifiutare l’accordo con i Birra. “Presumo che la risposta data dagli Ascione a Zeno fosse già nota al mio clan – le parole di Cefariello – e forse questa persona venne soltanto a ribadirla”. L’ennesimo retroscena di una guerra di camorra messa in piedi da boss senza scrupoli. Pronti anche a trasformare in killer un ragazzino di 15 anni.