Il timoniere è solo. E da solo dovrà “salvarsi”. Alberto Bollini si gioca tanto, forse tutto, in Benevento-Salernitana di domenica, provando a venir fuori da una tempesta che non è semplice espressione di risultati, ma pure di parole, azioni e silenzi. Dopo la sconfitta con la Spal, su precisa sollecitazione, il tecnico aveva detto «no, grazie» al ritiro pre-derby. Poche ore dopo, invece, come se quelle frasi fossero state proferite al vento, la società ha spedito tutti in “clausura” a Paestum. Il “caso” Rosina, seppur mascherato e sgonfiato dalle smentite e dal pronto rientro del capitano in gruppo, è un altro segnale, brutto e chiarissimo, della difficile situazione in cui l’allenatore è al solito identificato come massimo responsabile della crisi granata. Lui, che ha ereditato quella panchina rovente, su cui s’era bruciato Sannino (l’altra sera tornato ad argomentare in tv sui periodi ipotetici della sua breve gestione, masticando amarezza e rimpianti), per espresso volere di patron Lotito.
È cambiato qualcosa, nei rapporti mister-proprietà? Domanda complessa, perché il multi-presidente, sfuriate post-gara a parte (all’Arechi, va detto, non manca mai), è in altre faccende affaccendato. Lunedì si vota in Figc. Lotito corre per il Consiglio Federale, lavora incessantemente per il Tavecchio-bis. E lo fa con il buonumore, perché nel frattempo la Lazio d’Inzaghi – sì, proprio l’allenatore che aveva scelto per la Salernitana, prima che il “gran rifiuto” di Bielsa ai capitolini facesse saltare il banco e i programmi – riesce a dargli soddisfazioni, con la vittoria nel derby di Roma ch’è quasi un’ipoteca sulla finale di Coppa Italia. Insomma, Salerno è sempre più periferia dell’impero. Distanze accentuate. La solitudine di Bollini e gli affanni granata sono lì in mezzo, figli (anche) di questo solco profondo…