«Questo progetto nasce diversi anni fa, non conoscevo la storia di Matilde Sorrentino, la appresi per caso, a seguito dell’assassinio di un’altra donna, Teresa Buonocore, nel 2010. Si parlava di Matilde come caso analogo al suo. Mi incuriosii e iniziai a documentarmi. Al di là delle atrocità dei fatti che accaddero, mi colpì soprattutto la reazione della comunità di Torre Annunziata». Marinella Ioime, sociologa, ha da tempo nel cassetto una sceneggiatura sulla storia di Matilde Sorrentino, che potrebbe diventare un film. E, a pochi giorni dalla notizia del risarcimento per il figlio della donna, che fu vittima di abusi in una scuola di Torre Annunziata, spiega le difficoltà e il perché del suo progetto. A partire dal contesto in cui maturò quella terribile vicenda. «Non riuscivo a capire come era stato possibile che tutto quello che avvenne successe così, alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, per anni – spiega – Man mano che mi addentravo nella storia veniva fuori un quadro chiaro, una specie di paradigma sociologico, una formula che potremmo applicare praticamente a tutti i casi di pedofilia». Secondo la Ioime, «l’abuso sui minori ha nell’omertà il suo elemento fondante». «Nel Rione dei Poverelli – continua – la comunità ha risposto nello stesso e identico modo in cui ha risposto la gente di Ponticelli col massacro di due bambine nel 1983, o del Parco Verde di Caivano, con modalità diverse, ma tutte simili tra loro. Si reagisce cioè con grande clamore all’inizio ma poi tutto torna come prima. Non si vuole sapere cosa succede. Perché in un modo o nell’altro si sa già».
«Quello che succedeva a Torre Annunziata è impossibile che non si sapesse. Si sapeva. Solo che non lo si riusciva a dire. E non solo per paura di subire ritorsioni. Si tratta di qualcosa di più forte. Non si riesce ad oggettivare un male così grande, così profondo e radicato in noi stessi. A volte mancano proprio le parole. E c’è di più. Matilde Sorrentino la prima volta che andò a denunciare quello che succedeva a suo figlio all’interno della scuola non venne quasi creduta. La prima inchiesta fu archiviata. Per insufficienza di prove, fu detto. Una cosa incredibile. Intanto suo figlio e altri bambini venivano violentati».
La Ioime ricorda «il maresciallo Michele Camerino che seguì Matilde in tutto il suo percorso di denuncia. Fu grazie a lui e alla sua caparbietà che lei riuscì a far riaprire l’inchiesta. Certe storie non le si vuole ascoltare perché toccano nervi scoperti del nostro vissuto, probabilmente. Si fa una gran fatica. La stessa che sto facendo io ora per realizzare questo progetto, voluto e sostenuto dalla Fondazione Pol.i.s.. Lo sforzo più grande ora è rappresentato dal trovare una produzione cinematografica che voglia realizzare fare un film sulla storia di Matilde Sorrentino». Ma perché un soggetto su questa terribile vicenda? «Matilde è una figura di “senza voce” così comune e incredibile allo stesso tempo che sfugge da questo tipo di narrazione. Lei è una mamma come tante. E proprio come tante mamme compie gesti straordinari. Oggi credo che più che mai si dovrebbe parlare di donne, di famiglia. Mi piacerebbe vedere tanti film che parlassero di questo. In una società come la nostra in cui le donne sono schiacciate tra due generazioni che premono con i loro impellenti bisogni: i figli piccoli da una parte e i genitori anziani e malati dall’altra, con i conti che non tornano, con le minacce esterne che sempre arrivano. Matilde era questo. Una donna confusa tra le tante ma assolutamente unica».