È un po’ come il compagno di banco delle elementari: l’hai perso di vista il giorno in cui hai varcato la soglia della scuola media, però resta per sempre un tuo amico, e quando lo (ri)vedi è impossibile non corrergli incontro e riabbracciarsi. La storia di Rino Gattuso e della Salernitana è così, un volersi bene a distanza sentendosi perennemente su una macchina del tempo che tiene vivo un passato breve, calcisticamente neanche felice, eppure così intenso da percepirlo come indimenticabile.
Amore a prima vista
Si conobbero 19 anni fa, quando quel talento calabrese emigrato in Scozia “ringhiava” nei Rangers di Glasgow. Se l’andò a prendere lì l’allora patron Nello Aliberti, per vestirlo di granata e rinforzare la squadra di Delio Rossi che stava scoprendo quanto dura fosse la serie A appena conquistata. Gennaro Ivan, Rino per abbreviazione e «Ringhio» per soprannome, sbarcò all’ombra del Castello d’Arechi poco più che 20enne, con lo sguardo da duro e le ambizioni d’un predestinato. Entrò nel cuore del popolo dell’ippocampo a suon di tackle spericolati, correndo come un forsennato e battagliando da gladiatore della mediana nella stagione dell’immeritata retrocessione in B d’una Salernitana che al tramonto di quel campionato pianse la morte di suoi 4 giovanissimi tifosi, vittime del tragico rogo del treno di ritorno da Piacenza.
Legame indissolubile
«Impossibile dimenticare», ha sempre detto Gattuso mentre spiccava il volo nel calcio dei grandi, vincendo tutto con il Milan e alzando pure al cielo di Berlino la Coppa del Mondo 2006 con la Nazionale italiana. «Quella salvezza ci fu scippata, però Salerno resta nel mio cuore, anche se non credo di meritare così tanto affetto per pochi mesi in cui ho vestito quella maglia. L’Arechi era il mio doping. Lì, quando il pubblico spinge, non ce n’è per nessuno», ha ripetuto un girone fa, dopo la sua prima volta da allenatore avversario nello stadio con il nome da principe, in Salernitana-Pisa 0-0. Non per sterile ridondanza ma per convinzione, erano le stesse parole proferite a maggio del 2015, la sera in cui accettò l’invito dei tifosi del Club 2010 e partecipò alla festa per la promozione dei granata in B al vecchio Vestuti. Perché certi legami sono incancellabili, tanto che lo scorso gennaio Ringhio salì sul primo treno disponibile per tornare calciatore per un giorno con il cavalluccio marino cucito sul petto, nella partita delle “vecchie glorie” in favore dei terremotati di Amatrice.
Faccia a faccia
Si ritroveranno sabato, all’Arena Garibaldi-Anconetani di Pisa, Rino e i suoi “amici d’una vita”, in un match che mette in palio punti di platino: per l’ippocampo, che cavalcando l’onda di tre vittorie di fila rivede la suggestione dei play-off, e non da meno per i toscani che inseguono l’impresa di difendere la B dopo esser stati massacrati dalle penalizzazioni in classifica, eredità d’una crisi societaria pazzesca prima del cambio di proprietà. Gattuso, sotto la Torre Pendente, è un idolo, un leader carismatico, un trascinatore senza eguali. Tratti distintivi d’un destino che già s’intravedeva quando, con la maglietta granata numero 6, nel campionato di serie A 1998/’99, esplose mostrando le stimmate d’un ragazzo del Sud “affamato” di successi. Fu così che Ringhio stregò il popolo del cavalluccio marino, che pure sabato, dal settore ospiti dell’Arena, l’applaudirà forte, in un amarcord che ferma il tempo. Un abbraccio orgoglioso e sincero, prima di chiedergli strada…