A guardarla così, un mesetto fa, sembrava una notte tra tante, persino fastidiosa, messa lì, in un martedì d’inizio aprile, a ingolfare il calendario talmente intenso da diventar logorante d’una serie B a cui la Salernitana avrebbe avuto da chiedere al massimo una salvezza, possibilmente senza i patemi che stava vivendo. Sembrava, appunto. È diventata, invece, una notte di sogni, speranze e ambizioni. All’Arechi arriva il Cittadella e d’improvviso ma non per caso (ri)ecco che questa partita, apparentemente senza blasone né etichetta, riscopre il profumo inebriante d’una sfida da play-off, l’utopia d’oltre metà stagione ch’è adesso, come d’incanto, obiettivo reale del campionato granata.
Il calcio è un gioco di percezioni mutevoli, scandito dalle frenesie, dall’altalena degli umori, dalle grandi paure che colorano tutto di nero e dalle ammalianti suggestioni che fanno sparire con un colpo di spugna le macchie del recente passato. Oggi Salerno è nel suo momento di luce: rivede orizzonti intriganti, riassapora un entusiasmo che pareva soffocato da risultati modesti e da tormenti ch’erano sfociati in una contestazione forte, senza risparmiare nessuno. Poi cinque partite da imbattuta, quattro vittorie consecutive senza subire un gol, l’ottavo posto vicino: la Salernitana s’è ripresa la sua gente (che a dirla tutta non l’aveva mai abbandonata, neppure quando a calciatori e società aveva dato degli «indegni»), tornando a far ardere quel sacro fuoco della passione che aspettava solo una scintilla per scaldare un popolo che adesso si chiama a rapporto da solo, perché sa quanto può incidere.
Alle otto e mezzo di stasera, l’Arechi ci metterà del suo per spingere la squadra di Bollini verso il quinto successo di fila, che darebbe contorni entusiasmanti a una rincorsa oggettivamente complessa, tuttora difficilissima, e però non impossibile per la Salernitana che da un mese vince d’autorità, con applicazione operaia e cinismo da “grande”. Ce n’è abbastanza per non fermarsi proprio adesso.