Il bacio strappato a una dipendente del figlio, contro la volontà della ragazza, gli costa una condanna per violenza sessuale. Un anno e due mesi, la pena inflitta a M.D. imprenditore 50enne di Pompei da parte dei giudici della prima sezione penale del Tribunale di Torre Annunziata (presidente Francesco Todisco, a latere Riccardo Sena e Emanuela Cozzitorto). Verdetto assai più leggero della richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero Barbara Aprea della Procura della Repubblica di Torre Annunziata che aveva invocato ben 7 anni di reclusione.
Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza, che verrano depositate entro i prossimi tre mesi, per comprendere come i giudici siano arrivati a questo verdetto, ma sin da ora si capisce che per il collegio giudicante quell’abuso di natura sessuale rientra nella categoria di quelli di minore entità. Rigettata la richiesta del pagamento di una provvisionale nei confronti della ragazza che si è costituita parte civile al processo.
Il bacio violento venne dato quando i due, la ragazza che lavorava nel locale bar/ristorante del figlio dell’imputato e l’imprenditore di Pompei, si ritrovarono da soli nel retrobottega del locale. Lei c’era entrata insieme al cuoco per prendere qualcosa che le serviva per il lavoro. Lui- denunciò la ragazza- l’aveva seguita e, una volta uscito il cuoco dal retrobottega, afferrata di spalle e baciata sulla bocca. Lei lo respinse. Dopo il rifiuto l’uomo si sarebbe seduto su una scrivania e le avrebbe detto: «Che c’è? Non ti posso corteggiare?».
Una violenza bella e buona, secondo la ricostruzione del pubblico ministero che nella sua requisitoria ha sottolineato come quel lavoro fosse la strada per ritrovare autonomia e fiducia in sé stessa per quella ragazza che si era da poco separata dal marito e con il figlio piccolo era tornata a vivere nella casa dei genitori. Dopo quell’episodio la giovane, che era a un passo dal firmare l’agognato contratto a tempo indeterminato, si licenziò.
La sua versione, però, ha sollevato molte perplessità negli avvocati dell’imputato che hanno messo in discussione l’attendibilità della ragazza. La denuncia arrivò diverso tempo dopo l’episodio. Nell’immediato lei non urlò, tentando di richiamare l’attenzione degli altri dipendenti presenti nei restanti locali del bar/ristorante, né andò in ospedale per farsi refertare i segni sul labbro che poi disse di avere subìto. I giudici di primo grado l’hanno ritenuta credibile condannando l’imprenditore pompeiano.