Torre del Greco. Solo 48 ore prima era stata pestata a sangue, al punto da invocare l’intervento dei carabinieri per fermare il raptus di follia del compagno. L’uomo – accecato dalla gelosia per l’arrivo di un messaggio WhatsApp sullo smartphone della sua donna – non aveva esitato a usare le maniere forti per costringere la trentaduenne a consegnargli il telefonino, poi schiantato contro un muro per portare via la sim card da cui clonare la memoria. Il tutto, sotto gli occhi terrorizzati di due bambini di 8 anni e 13 anni.
L’arresto e il processo
L’incubo in via Pagliarelle – stretta traversa della zona di Cappella Nuova – era stato spezzato dall’arrivo dei militari dell’Arma, pronti a fermare e arrestare il trentanovenne: M.S. – volto già noto alle forze dell’ordine – era così finito in manette con le accuse di rapina, maltrattamenti in famiglia, lesioni personali volontarie, danneggiamento e accesso abusivo a un sistema informatico. Una sfilza di ipotesi di reato di cui l’uomo si è ritrovato a rispondere, durante il processo con rito direttissimo, davanti al giudice monocratico Luisa Crasta del tribunale di Torre Annunziata.
Lo show in aula
Dove, a 48 ore dal dramma vissuto tra le quattro mura dell’abitazione di via Pagliarelle, si sono ritrovati faccia a faccia – separati solo dalla sbarra dell’aula – il pregiudicato di 39 anni e la compagna di 32 anni. I carabinieri della caserma Dante Iovino hanno ricostruito il raptus di follia, raccontando gli ulteriori episodi – compreso un tentativo di investimento – denunciati dalla trentaduenne. Ma, davanti al giudice monocratico Luisa Cresta, lo scenario è improvvisamente cambiato: l’uomo è scoppiato in un pianto dirotto, sostenendo di amare la compagna e di non avere picchiato la donna davanti ai bambini. Eppure, una ciocca di capelli di circa 10 centimetri – acquisita a verbale – sembrava confermare le scene di inaudita violenza vissute in via Paglierelle. Scene già dimenticate dalla trentaduenne, a propria volta pronta a perdonare il compagno: «Gli serviva una lezione, adesso avrà imparato: liberatelo, perché l’amo e non posso vivere senza di lui», l’appello lanciato in aula. Parole capaci di provocare stupore e sbigottimento tra gli increduli militari dell’Arma, ma non di convincere il giudice monocratico a passare sopra il grave episodio.
Domiciliari e rito abbreviato
L’arresto è stato convalidato e M.S. dovrà aspettare agli arresti domiciliari – all’interno della casa degli orrori di via Pagliarelle – la conclusione del processo con rito direttissimo, fissata per fine giugno. Il trentanovenne – assistito dall’avvocato Maria Laura Masi – ha scelto di essere giudicato con la formula del rito abbreviato, condizionato all’interrogatorio della compagna. Evidentemente, la speranza dell’uomo è legata al perdono della donna con conseguente remissione della querela per lesioni personali: una speranza niente affatto vana, considerato come la trentaduenne – una volta accompagnato il compagno agli arresti domiciliari – si sia interessata sulle procedure da seguire per ottenere il via libera al trasferimento all’interno dell’abitazione in cui, solo 48 ore prima, il compagno violento avrebbe potuto ucciderla.
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