Torre del Greco. Non solo si è salvato dalla stangata invocata dal pubblico ministero – due anni e mezzo di reclusione, con la revoca degli arresti domiciliari – ma potrà scontare la pena di un anno e sei mesi decisa dal giudice monocratico Luisa Crasta del tribunale di Torre Annunziata a piede libero, con il solo obbligo di firma per tre volte alla settimana. Tutto grazie al perdono e alla sostanziale ritrattazione delle accuse della compagna, a metà maggio pestata a sangue all’interno dell’abitazione di via Pagliarelle e salvata solo dal provvidenziale intervento dei carabinieri della caserma Dante Iovino.
La dichiarazione d’amore
Già a 48 ore dall’arresto di M.S., il compagno pronto a usare le maniere forti per spiare le conversazioni WhatsApp della sua donna, la trentaduenne aveva perdonato il suo aguzzino: «Liberatelo, io l’amo», l’urlo lanciato durante il primo atto del processo con rito direttissimo. Successivamente, poi, la donna era andata a vivere all’interno dell’abitazione in cui il trentanovenne si trovava agli arresti domiciliari in attesa della conclusione del procedimento giudiziario.
Il dietrofront in tribunale
Il pregiudicato – assistito dall’avvocato Maria Laura Masi – aveva così scelto di essere giudicato con la formula del rito abbreviato, condizionato all’interrogatorio della compagna. Una scelta, alla fine, risultata “vincente” perché la donna – in aula – si è rimangiata tutte le accuse messe nero su bianco dai carabinieri della caserma Dante Iovino, salvando il quarantenne da un’inevitabile stangata. «è vero, mi ha strappato i capelli e schiaffeggiata – la versione dei fatti riveduta e corretta alla luce del perdono – ma è stato solo un attacco di gelosia. Non mi voleva fare del male, solo controllare il mio smartphone». Smontata, inoltre, l’ipotesi della presenza dei due figli – rispettivamente di 8 anni e 13 anni – al momento dell’aggressione shock, innescata dall’arrivo di un messaggio WhatsApp sullo smartphone della donna. Arrivata, infine, a ritrattare la denuncia di sequestro di persona formulata subito dopo l’arresto del compagno. «In passato, mi rinchiudeva in casa per evitare che uscissi e incontrassi gente», le parole messe nero su bianco a metà maggio davanti ai carabinieri. In aula, invece, la vittima si è lanciata in un acrobatico dietrofront: «Non mi devo essere spiegata bene – il racconto al giudice monocratico Luisa Crasta -. Ci chiudevamo insieme in camera da letto e parlavamo per ore dei sui frequenti attacchi di gelosia».
Il minimo della pena
Davanti al “muro d’amore” eretto dalla compagna, al giudice monocratico non è rimasta scelta che concedere le attenuanti generiche – caduti i futili motivi e l’aggravante della presenza di minori – prevalenti sull’aggravante della recidiva e limitare la condanna a un anno e sei mesi per maltrattamenti in famiglia. Non solo: vista la decisione della donna di andare a vivere sotto lo stesso tetto del suo potenziale aguzzino, la dottoressa Luisa Crasta non ha ritenuto di dovere accogliere la richiesta di revoca degli arresti domiciliari avanzata dal pubblico ministero. Così M.S. potrà scontare la condanna a piede libero, con il solo obbligo di firma 3 volte a settimana.
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