Torre del Greco/Ercolano. Giovanni Birra, il boss ergastolano di Ercolano recluso al regime del carcere duro, è ancora pericoloso. E nonostante i durissimi colpi inferti dallo Stato al suo clan, il padrino di corso Resina – in carcere ormai da 15 anni – può comandare anche dalla sua cella del braccio di massima sicurezza dove è recluso al 41bis.
A lanciare l’allarme che scuote le ultime roccaforti della camorra vesuviana è una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione e pubblicata nei giorni scorsi. Una sentenza che – tra le righe – analizza lo spessore criminale del capoclan protagonista della sanguinosa guerra di camorra contro i nemici giurati degli Ascione-Papale. Secondo alcune recenti inchieste condotte dall’Antimafia, agli inizi degli anni 2000, Giovanni Birra avrebbe ordinato degli omicidi in carcere e in un caso – addirittura – nel corso di un incontro con un affiliato all’interno di un’aula di tribunale.
Il boss non deve informarsi
La sentenza emessa dalla Cassazione riguarda un ricorso presentato dallo stesso Giovanni Birra contro un’ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza di Ancona. Un’ordinanza che aveva impedito al boss di Ercolano di ricevere in carcere la stampa locale della sua zona di provenienza (la provincia di Napoli, ovviamente). Un divieto che la Cassazione ha confermato, ribadendo che «rimanendo aggiornato» il boss potrebbe «continuare a controllare e dirigere gli affari e le vicende criminali». Motivazioni inquietanti sulle quali pesa lo spessore e il curriculum criminale del 54enne di corso Resina. Giovanni Birra, grazie alle inchieste messe in piedi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha portato a casa decine di condanne, tra cui anche un ergastolo diventato definitivo per l’omicidio di Ciro Cozzolino, delitto commesso a Prato nel 1999. Secondo gli inquirenti sarebbe lui, il boss di via Cuparella, il mandante della mattanza di camorra che tra il 2000 e il 2010 ha insanguinato le strade del Miglio d’Oro. Birra, recluso per un periodo al carcere duro di Ascoli Piceno, è stato recentemente trasferito nell’Alcatraz italiana: il super penitenziario di Sassari costruito a posta per “accogliere” i 90 super boss più pericolosi e potenti di mafia, camorra e ‘ndrangheta.
Il boss furioso
Nelle scorse settimane Giovanni Birra è stato protagonista di un vero e proprio show. Durante uno dei tanti processi che lo vedono imputato come mandante di un omicidio, il padrino di corso Resina ha attaccato duramente i vertici della Dda, affermando che i pm anti-camorra sono «dei geni del male». Secondo Birra i magistrati avrebbero, addirittura, manipolato i verbali dei pentiti per incastrarlo. Accuse durissime che hanno spinto il procuratore generale a chiedere – durante il processo – l’acquisizione dei verbali per ulteriori approfondimenti da parte della Procura della Repubblica di Napoli. Il padrino pluri-condannato rischia di finire indagato per calunnia.
Il precedente
La sentenza della Cassazione a carico di Birra fa eco alla decisione con la quale la Corte Costituzionale, il 9 febbraio scorso, ha stabilito la legittimità del divieto, per i boss reclusi al 41 bis, di ricevere libri, riviste, lettere e giornali. Una sentenza simile, qualche anno fa colpì Pasquale Gionta, personaggio di punta del clan di Torre Annunziata che negli anni della guerra di camorra era alleato proprio dei Birra. Anche in quella circostanza fu vietato al boss di vedersi recapitare riviste e giornali.