Torre del Greco. Il dialetto napoletano è come il caffè all’ombra del Vesuvio: unico. Ma a chi non è abituato può provocare qualche disagio. E scatenare incredibili patatrac. Come l’arresto di un (ex) sindaco e di tre imprenditori specializzati nel settore dei rifiuti. è la tesi sostenuta dalla difesa dei «re della monnezza» di Torre del Greco davanti ai giudici del tribunale del Riesame di Napoli per provare a smontare – carte alla mano – il castello accusatorio della procura di Torre Annunziata. Un castello accusatorio costruito, appunto, intorno a una conversazione in stretto dialetto napoletano tra i due fratelli Massimo Balsamo e Antonio Balsamo.
La frase incriminata
A 24 ore dalla scarcerazione di Ciro Borriello e dei titolari della «ditta di casa» di viale Europa – ai tre indagati eccellenti dell’inchiesta sulla monnezza connection nella quarta città della Campania sono stati concessi gli arresti domiciliari, dopo 15 giorni trascorsi dietro le sbarre del carcere di Poggioreale – emergono nuovi dettagli sulla strategia difensiva adottata da Massimo Balsamo e Antonio Balsamo. Entrambi pronti a sostenere come, in realtà, l’interpretazione della conversazione ritenuta dalla procura di Torre Annunziata come determinante per provare la corruzione tra Ciro Borriello e i titolari della Fratelli Balsamo si basi su un grossolano equivoco. A partire dal pronome con cui verrebbe “identificato” l’ex sindaco di Torre del Greco: il “chist” a cui i «re della monnezza» stavano regalando – la conversazione risale al 23 gennaio 2016 – la bellezza di 20.000 euro al mese non sarebbe da interpretare al singolare bensì al plurale. Dunque, i “chist” sarebbero gli operatori ecologici del cantiere. D’altronde, gli stessi fratelli – proseguendo la conversazione – fanno esplicito riferimento al precedente responsabile dei netturbini e alle presunte manovre economiche portate avanti in passato e stimate intorno ai 600-700 euro al mese. Un passaggio sottilissimo, eppure decisivo.
Il dossier difensivo
Ovviamente, la difesa da un’accusa così grave non si poteva fondare solo sulle difficoltà di interpretazione del dialetto napoletano utilizzato dai «re della monnezza». A supporto della tesi, l’avvocato Massimo Loffredo ha presentato una lunga serie di documenti contabili per illustrare come i “numeri” a cui facevano riferimento Massimo Balsamo e Antonio Balsamo fossero riferiti alle spese del cantiere Nu. Sono state così depositate fatture per “spiegare” i 20.000 euro di cui all’intercettazione-chiave e i 40.000 euro e i duecentomila euro richiamati in una conversazione successiva. Insomma, carte con cui gli ex monopolisti dei rifiuti all’ombra del Vesuvio contano di dimostrare l’assoluta estraneità all’accusa di corruzione avanzata dalla procura di Torre Annunziata.
I lavaggi e i fondi neri
Prodotto, inoltre, un fascicolo per dimostrare come gli autocompattatori venissero lavati non solo all’interno della stazione di servizio di Virgilio Poeti e Francesco Poeti – entrambi indagati per varie ipotesi di falso – ma anche all’interno delle ex cave di villa Inglese. Dunque, le successive fatture emesse dai titolari del distributore di benzina di viale Europa non sarebbero – come sostiene la procura di Torre Annunziata – stata emesse per «prestazioni mai avvenute».
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