Oggi viviamo in un contesto socioeconomico radicalmente mutato rispetto a 30 anni fa: è cambiato il modo di fare impresa, l’industria, la produzione. Anche Il mercato del lavoro ha subito notevoli cambiamenti rispetto al numero di persone occupate, a quanti cercano lavoro, ma soprattutto rispetto ai cosiddetti “neet”, coloro i quali non hanno e non cercano lavoro, che sono difficilmente rappresentabili. Le risorse economiche del Paese, diminuite per colpa della crisi, hanno avuto ripercussioni anche sui distacchi e sull’opportunità di svolgere attività sindacale. In questo contesto, anche se indubbiamente inaccettabile la posizione di Di Maio sulla riforma dei sindacati, che richiama esperienze del passato non certo democratiche, emerge la necessità di un’autoriforma che avvicini il sindacato ai lavoratori e gli restituisca quel ruolo fondamentale per la democrazia. Le distinzioni tra la rappresentanza politica e quella sociale non mi hanno mai convinto e ritengo, infatti, che la crisi della rappresentanza investa in modo pressoché identico i partiti politici, le organizzazioni datoriali e i sindacati. In poche parole, nella nostra società occidentale e in particolare nel nostro Paese è in crisi la funzione dei corpi intermedi che, purtroppo, per molti, sono diventati un inutile orpello. La reciproca delegittimazione tra politica, sindacato e imprese produce un indebolimento delle funzioni democratiche e rafforza le concentrazioni di potere nelle mani di pochi, generando spesso, per quello che riguarda la politica, anche fenomeni leaderistici e sostanzialmente antidemocratici. Per tornare alla questione sindacale, i temi di una possibile riforma, auspicata anche dai vertici delle organizzazioni sindacali, a mio avviso, sono sostanzialmente tre. Il primo, ineludibile, riguarda la rappresentanza: è non più rinviabile la scelta di affidare agli iscritti l’elezione dei gruppi dirigenti e la decisione ultima sulla contrattazione. Il secondo, altrettanto importante, riguarda l’organizzazione: infatti, è chiaro che, per il quadro descritto in precedenza, diventa quanto mai necessaria una semplificazione degli schemi contrattuali e, di conseguenza, delle categorie merceologiche; parallelamente, è indispensabile rafforzare la contrattazione decentrata e territoriale. Terzo punto è quello dell’unità sindacale che, necessariamente, richiede tempo, ma che è, sul lungo periodo, ineludibile per avviare un serio e profondo processo di riforma della rappresentanza che consenta una nuova stagione di centralità per il lavoro e per i diritti in una società moderna che, però, non può mai far venir meno la tutela e la dignità delle persone.
politica
11 ottobre 2017
Un sindacato nuovo contro i populismi