Dai biglietti d’amore ai compiti andati male: tutti nascosti e custoditi nella pancia o nella testa delle bambole. Giocattoli che secoli dopo raccontano segreti e storie di chi li ha amati come i messaggi infilati nelle bottiglie e affidati al mare.
La magìa avviene nell’ospedale delle bambole, dove ci sono veri e propri reparti: ortopedia, oculistica, meccanica-riabilitativa, sartoria, trucco. Persino un ambulatorio veterinario.
Siamo nel cuore di Napoli, nelle antiche scuderie di Palazzo Marigliano, nell’Ospedale delle Bambole, come è scritto sull’insegna all’ingresso. Dove s’è trasferita la storica bottega che restaura bambole e giocattoli fondata nel 1800 da Luigi Grassi in via San Biagio dei Librai 81.
Bambini infermieri
Trilly è arrivata da poco. Non cammina più. Il primario, Tiziana Grassi, indossa subito il camice bianco e il caleidoscopio. La sistema con delicatezza nel reparto di ortopedia assistita dai bambini-infermieri. “Qui ci vuole olio speciale”, dice. Prende gli attrezzi del mestiere e comincia. “Non la trovate stupenda?”, chiede. Lo è. Trilly è una bambola del 1800. Il meccanismo per farla camminare è sorprendente, altro che pile. Arrugginito, ma prezioso. “Un paio di giorni e sarà come nuova”, promette Antonella, che ha il ruolo di caposala. E’ lei che prepara i lettini in corsia e sono quasi tutti pieni. Sul primo c’è una scimmietta bianca che perdeva lana, ora è quasi guarita. A prendersi cura di lei c’è Giovanni, 7 anni, che da bravo paramedico le sistema la coperta. Qui nell’ospedale delle bambole gli unici infermieri che possono dare una mano a Tiziana e Antonella sono i bambini che giocano aiutano i medici a sostituire occhi e arti. Anche per loro ci sono sistemati i camici e le mascherine da indossare.
Segreti nascosti
L’ospedale cura le bambole ma non solo. Custodisce e tramanda storie. Giorgia è arrivata qui da San Giorgio a Cremano. In mano ha una bambola di sua madre, «ora vorrei tanto regalarla a mia figlia». Prima però, c’è da rimettere a posto il vestitino d’epoca tutto ingiallito, un compito che viene affidato a Emanuela, 2 anni appena. In ogni bambola, dice il primario, c’è un ricordo e un segreto. Dalla testa di un bambolotto è spuntato un tema di italiano sul papà. Era pieno di errori di ortografia, aveva la data del 1800. Forse, per non farlo trovare ai genitori un bambino lo aveva nascosto. Ed era rimasto lì, per oltre un secolo, perfettamente custodito.
In un’altra bambola c’è una lettera del 1970 indirizzata a Maria e firmata dal fidanzato. Le chiedeva di sposarlo e racconta il giorno più bello della sua vita. Era nella pancia di una bambola con le gambe di porcellana.
Tradizione centenaria
L’ospedale delle bambole è un’esperienza unica per grandi e piccini, da oggi è possibile viverla al civico 39 di via San Biagio dei Librai. Ogni giorno, domeniche escluse, dalle 10,30 alle 18. Una tradizione che si tramanda da quattro generazioni.
La mise in piedi un uomo coi baffi arrotolati all’insù, si chiamava Luigi Grassi, scenografo teatrale, artista di corte e artigiano dei pupi di fine Ottocento. All’inizio era un laboratorio per costruire e riparare marionette.
Tiziana racconta un giorno di tanti anni fa così come gli è stata raccontata dai nonni. Una donna entra piangendo nella bottega e implora di aggiustare la bambola della figlia. Dopo qualche giorno è come nuova. “Dirò alla mia bambina che sono stata alla bottega del mago”, disse. La voce si sparge e il laboratorio si riempie di bambole da aggiustare. Qualcuno inizia a chiamare la bottega di Grassi «o’ spitale d’e bambule». Luigi prende un pezzo di legno, ci dipinge sopra una croce rossa e l’ospedale delle bambole inizia ad accogliere pazienti. Tiziana indica l’ingresso, quel pezzo di legno è ancora lì all’ingresso. Apriva la vecchia sede, e apre anche la nuova: 180 metri quadrati allestiti come museo e laboratorio per altri artigiani.
Dai depositi alla luce
Sugli scaffali, nelle teche, sui banchi ci sono centinaia di bambole dal 1800 ad oggi. Molte donate e conservate per anni nei depositi, tante da rimettere in sesto. C’è persino la bambina col topo della collezione Lenci, le bambole che negli anni Venti venivano regalate con le uova di Pasqua. C’è una bambola-manichino, appartenuta a un sarto, vestita con stoffa antica impreziosita dalle perle. Qui l’arte del restauro s’intreccia con quella sartoriale. E non è un caso.
La bottega diventerà la casa di tutti gli artigiani che lo vorranno.
Gustavo Renna, orafo da quattro generazioni, ha già raccolto la sfida: ha realizzato una linea di gioielli, in edizione limitata, per l’ospedale. E per il Maggio dei Monumenti sarà allestita “la stanza delle meraviglie”. Perché tutto resti nella memoria.