Massimo Fontana, consigliere dell’ordine degli Ingegneri di Napoli, conosce bene i pericoli del dissesto idrogeologico e soprattutto gli effetti devastanti che può provocare. Nel 1997 fece parte del Comitato tecnico scientifico sulla frana di Pozzano, che causò 4 morti a Castellammare di Stabia. Un anno dopo, sempre con lo stesso ruolo, si occupò dell’alluvione di Sarno che di vittime ne provocò 160. Ma la morte non ha insegnato nulla. Anzi, l’impressione è che la si aspetta ogni volta, come fosse il sacrificio alla disorganizzazione, alla cecità, all’idiozia di chi oltre alle chiacchiere non fa altro in tema di prevenzione.
Da ieri notte, il Faito e i monti Lattari franano in più punti, effetto anche della follia incendiaria dell’estate infernale.
«La situazione del Faito, dei Monti Lattari, ma anche dell’agro-nocerino-sarnese e dell’area vesuviana è drammatica. Si conoscono le zone a rischio e si conoscono gli interventi da attuare per mitigarne il pericolo. Il problema è che manca una regia regionale d’intervento. E mancano anche i fondi per i lavori».
Ingegnere Massimo Fontana, la storia non insegna nulla?
Non insegna abbastanza. L’emergenza ha spinto tanti colleghi a specializzarsi e oggi gli ingegneri della provincia di Napoli sono tra i più competenti in Italia. In quel periodo furono istituite le commissioni di preallerta con dentro geometri, agronomi e ingegneri, dovevano essere le sentinelle sul territorio, segnalare i pericoli imminenti e gli interventi necessari. E’ stato fatto un lavoro enorme.
E poi?
Furono disegnate le mappe del rischio e furono classificate le zone a rischio alluvioni e frane. Inoltre studi geologici approfonditi ci indicano quali sono i territori a rischio e quali sono gli interventi necessari per metterli in sicurezza.
Scusi, perché non si interviene allora?
Perchè il prolema del dissesto idrogeologico fu affidato alle autorità di bacino locali che poi sono state soppresse dallo Stato e accorpate in un unico ente del centrosud. Questo ha provocato forti ritardi su tutti i piani di intervento.
Solita musica: i tagli senza logica,
Esatto. E in questo caso le responsabilità sono della Regione Campania e del Governo.
Ecco, qualcuno può urlarlo a muso duro a Vincenzo De Luca, tanto per cominciare?
Regione Campania sul tema del dissesto idrogeologico è assolutamente inerme. Per la stessa emergenza sono già state commissariate Liguria, Puglia, Lombardia, Calabria.
Eppure c’erano i fondi.
I vecchi Por furono destinati solo ai grandi progetti, per esempio a quelli legati alla tragedia di Sarno. In ogni caso non sono mai decollati. Tranne qualche piccolo intervento fatto dalle amministrazioni locali, non sono stati finanziati progetti per risolvere il rischio frane e alluvioni nei vari Comuni.
E il Governo che fa?
Negli ultimi due anni il Ministero s’è assunto l’onere di fare un elenco nazionale degli interventi necessari per mitigare il rischio idrogeologico, ma finora i fondi sono stati destinati alle grandi opere di Genova (180 milioni) e della Lombardia (140 milioni). Mentre i piccoli Comuni, e ovviamente quelli della nostra provincia, continuano a soffrire.
La Regione Campania ha 340 milioni da spendere in 3 anni per il Progetto Sarno.
Un progetto che di fatto non è mai partito, soprattutto dopo la soppressione di Arcadis. Forse bisognerebbe ripartire questi fondi ai vari Comuni del territorio in maniera che possano effettuare interventi dal punto di vista idraulico sul territorio.
Intanto, mentre si discute, inizia a cadere la pioggia e immediatamente un pezzo di Campania va in tilt. Soprattutto nelle zone di collina e di montagna.
Gli allagamenti e gli smottamenti sono causati nella maggior parte dei casi dalla mancata manutenzione del territorio. Una situazione che di fatto non permette un normale deflusso delle acque secondo i canali più naturali. Gli amministratori locali dovrebbero verificare periodicamente la funzionalità delle opere che sono presenti sul territorio. In caso di forti piogge la manutenione potrebbe non bastare, ma di sicuro ridurre i rischi.
Lei si è occupato della frana di Pozzano del 1997, fa ancora così paura la montagna che sovrasta Castellammare?
«Il Faito, così come i Monti Lattari e le alture nella zona di Sarno, restano aree ad altissimi rischio idrogelogico. E i roghi estivi, nei due casi in questione, hanno reso tutto più complicato queste sono aree montane formate per lo più da rocce vulcaniche, che sono molto stabili se tenute da alberi o opere in legno.
Tenute che in qualche caso non esistono più.
E in quel caso è una tragedia. Proprio la natura di questi pendii fa sì che ci sia una forza d’impatto enorme quando si saturano d’acqua e trovano strada libera verso valle. Generano colate di fango che possono trascinare qualsiasi tipo di materiale, comprese ovviamente persone, case e auto.
Quindi non ci resta che aspettare altre morti?
Vede, per quanto tragico possa apparire la verità è che in questo momento siamo passivi. Tutto quello che bisognerebbe fare per evitare tragedie e morti è scritto nelle carte ma il prolema è che nessuno le legge, o comunque nessuno le prende in consideraione. E allora ci ritroviamo a discutere delle stesse emergenze a distanza di decenni