«Non mi sembra vero, finalmente sono un uomo libero. Fuori da quell’inferno». Piange, Gerardo Pinto, mentre stringe tra le mani la notifica dei carabinieri. Le lancette segnano le 10 esatte e il cantante torrese mostra il pezzo di carta che l’ha tirato fuori dagli arresti domiciliari. «Qui c’è scritto che sono libero, che posso camminare per strada senza dar conto a nessuno. E io sono certo di essere a posto con la mia coscienza». Il suo nome sta in mezzo alla una maxi retata che ha portato al processo Iron. Una storia di droga che ieri è stata giudicata in appello. Lui è stato condannato a tre anni ed è libero. «Ricordo quando mi hanno arrestato, so come ci si sente e ho un magone allo stomaco». I giudici della IV sezione della Corte d’Appello di Napoli (presidente Giacobini) gli hanno dimezzato la pena. Gerardo era finito nei guai insieme a 35 persone nel blitz del 29 ottobre del 2014. Una maxi operazione che smantellò un cartello della droga tra i clan Gionta- Di Gioia- Nuvoletta e Contini, e nella quale Pinto fu ritenuto dalla Dda una sorta di “mediatore” tra esponenti della criminalità organizzata torrese e quello romano. «Non sono un camorrista e non lo sono mai stato – dice – ho scontato una pena, ho provato vergogna, e nonostante abbia provato a gridare la mia verità e la mia innocenza sentivo e vedevo la gente giudicarmi». Pinto racconta a Metropolis la sua storia: «Sono finito in carcere senza motivo: mi hanno accusato di fare tramite per i clan, ho sentito su di me cose assurde e mi sono vergognato da morire. Ho pianto – continua – e non sapete il male che ho dovuto sopportare: sono una persona perbene come lo è la mia famiglia. Ero incensu rato e non sapevo nemmeno cosa significa rubare una caramella e invece sono passato per un criminale solo perché ero di Torre Annunziata, e spesso questa città porta un peso e un marchio pesante». Pinto però in tutti questi anni non ha mai smesso di credere nella magistratura: «Io con quella gente ho semplicemente avuto un rapporto di lavoro – dice – l’ho ribadito e i giudici mi hanno creduto, non sono stato l’intermediario di nessuno. Per me sono stati clienti, sono quelli che hanno il portafoglio pieno: tu canti, loro ti pagano e arrivederci. Io canto da trent’anni la classica napoletana, non ho nulla a che vedere con i neomelodici e non mi sono mai svenduto». Mostra le immagini dei suoi concerti e orgoglioso dice: «Io questo so fare, solo cantare, sono stato coinvolto in una vicenda più grande di me e senza motivo: sono nato con la chitarra e in questi anni non ho mai smesso di cantare e di portare allegria alle persone nonostante tutta la valanga di fango che ho dovuto sopportare contro di me. Ripercorre le tappe della sua vita e con gli occhi velati dice: «in questi anni l’unica cosa che non ho mai smesso di fare è cantare anche grazie ai permessi dei giudici mi sono esibito nei teatri e ho continuato a regalare sorrisi, ma dentro avevo tanta amarezza». Ora Pinto è pronto a ritornare sul palcoscenico «appena hanno saputo la notizia mi hanno già contattato un tanti e presto partirò dal Teatro Cilea con lo spettacolo musicale Stasera Napoli Live. Il primo dopo anni da uomo libero, è finito un incubo e non auguro a nessuno tutto quello che ho passato io». Intanto l’avvocato Pasquale Morra, difensore di Pinto è pronto a presentare anche un’istanza di indennizzo perché si è visto dimezzare la pena ed è tornato in libertà avendo già espiato la pena.
CRONACA
11 novembre 2017
Pinto, i giudici gli ridanno la voce. «Ma con la camorra non c’entro»