«Fatemi telefonare a mia moglie. Quei 10 minuti erano l’unico momento in cui potevo esprimere il mio affetto». Le parole, contenute in quella busta gialla aperta, arrivano dal braccio di massima sicurezza del carcere di Spoleto. Le ha scritte, nel silenzio della sua cella al 41 bis, Luigi Papale, storico boss del camorra di Ercolano e Torre del Greco, ritenuto il reggente del clan dei siciliani trapiantati all’ombra del Vesuvio. Una missiva scritta con il cuore che va presa con le molle. Una lettera che racconta, in parte, i tormenti di un uomo che da 3 anni è sepolto vivo al carcere duro. Parole scritte per l’associazione “Liberarsi Onlus”, un gruppo di attivisti composto da detenuti e cittadini comuni che combattono a favore della funzione rieducativa del carcere, considerando il 41bis una misura detentiva «contraria ai dettami della Costituzione».
CRONACA
13 novembre 2017
Torre del Greco. Lettera d’amore del boss Papale: “Voglio parlare con mia moglie”