Ha preferito rimanere in municipio mentre al piano terra del Tribunale di Torre Annunziata, nell’aula gip, si stava decidendo il suo destino. «C’è tanto da fare per il mio paese, bisogna approvare il bilancio e preparare il piano di fabbisogno del personale» spiega sbrigativo il “sindaco del popolo” Giuseppe Tito. Lui, primo cittadino di Meta e consigliere metropolitano del Pd, rischia di finire a processo per una brutta storia di tangenti e appalti. Eppure ha deciso di non seguire l’udienza preliminare tenendosi comunque in costante contatto con il suo avvocato Paola Astarita che l’ha informato del rinvio al 2018 per un difetto di notifica.
Sindaco, che effetto le fa leggere quelle accuse così pesanti?
«Non voglio e non posso parlare dell’inchiesta. Mi sento soltanto di dire che ne uscirò a testa alta».
Eppure la Procura di Torre Annunziata la ritiene un corrotto, chiede un processo e tutto ciò, per un amministratore pubblico, è devastante.
«La verità verrà fuori. Ho la coscienza assolutamente pulita. Ho fiducia nella giustizia e nei valori umani che mi formano. Sono convinto che riuscirò a dimostrare l’estraneità ai fatti che mi vengono contestati».
E’ vero che ha pensato di dimettersi quando la Procura ha chiesto il suo arresto facendo appello al Tribunale del Riesame?
«I fatti dicono che non ho lasciato. Sono rimasto anche quando a qualcuno poteva sembrare “rischioso” restare in carica per le note vicissitudini del Riesame. E ciò mi pare emblematico della mia assoluta fiducia nella giustizia».
Incide l’inchiesta sul suo lavoro da sindaco?
«Ho sempre lavorato per il mio paese e per il mio partito, il Pd, che ormai è una realtà troppo litigiosa. E continuerò a farlo senza perdere il sorriso».
La guerra nel partito la sfiducia da militante e sindaco Pd?
«Meta viene prima di ogni cosa. Stiamo predisponendo il bilancio da portare quanto prima in consiglio comunale. Credo che oltre a ciò entro fine anno riusciremo a istituire il gruppo consiliare del Pd».
Quindi ha fatto pace con l’ex sindaco e oggi segretario locale Paolo Trapani?
«Mai fatto la guerra. Ci siamo confrontati e già da mesi avrei potuto formare il gruppo Pd. Non l’ho fatto perché è doveroso parlarne con tutti. Segretario compreso».
A inizio 2018 si saprà se lei andrà a processo, proprio quando il Pd dovrà battere l’ascesa di Forza Italia e del Movimento Cinque Stelle. Due tappe fondamentali.
«Il Pd ne sta uscendo con le ossa rotte dopo la vicenda di Napoli. Dovremmo tutti ripristinare quelle energie di forza democratica che ci hanno plasmato una decina d’anni fa, quando eravamo la prima forza politica in Italia. La perdita di un’icona antimafia come Piero Grasso fa male a tutti coloro che hanno a cuore un ideale di centrosinistra, che lotta contro i populismi, che teme accordi con Forza Italia, che vuole governare al meglio per il bene comune. Proprio come me, che vado avanti per Meta».