I disegni scorrono sulla musica struggente e la voce racconta un amore che sfugge. Un abbraccio, una carezza, lei che va via di spalle. «Aspettami all’orizzonte», dice. Si chiama #clandestini, proprio così, con il cancelletto di un hashtag, è il progetto dell’opera prima di un regista con il magma nell’anima. Onofrio Brancaccio ne mostra un pezzo, poi abbassa lo schermo del portatile e ha gli occhi lucidi. La storia è già nella sua testa, nel 2019 sarà nelle sale cinematografiche. «Un progetto d’amore», dice. E basta così.
E’ un abile comunicatore, è un regista con le idee chiare, un altro figlio del Sud in rampa di lancio verso il grande Cinema. E’ nato nello stesso anno del terremoto a Torre Annunziata, una città che era già la Fortapàsc che raccontava Siani. Ora vive a Trecase, la sua vita ruota attorno alla famiglia e alla macchina da presa. «Racconto storie di vita e ci metto dentro la mia passione. Se non c’è trasporto il cinema non serve a nulla. Mi hanno insegnato che si diventa bravi registi se le emozioni arrivano agli altri». E in Malamore è così.
E’ il docufilm che racconta come difendersi dagli stalker senza, un progetto nato per caso, «quando mia sorella Anna mi chiese una clip di presentazione per un convegno al tribunale di Torre Annunziata». Quello che è venuto fuori è un pugno in pieno viso, una successione di emozioni e una verità cruda. Due storie vere sempre in bilico tra amore e possesso.
Il testo lo ha scritto Felicio Izzo, preside del liceo De Chirico di Torre Annunziata, regia e sceneggiatura sono sue. E’ un messaggio nudo e crudo ai ragazzi, «ma è anche un film d’amore». La verità, dice Brancaccio, «è che stalker possiamo esserlo tutti».
Guardare il docufilm nel quale Fabio De Caro e Laura Amalfi recitano alternandosi ai racconti di due vittime, genera angoscia e ansia, che è esattamente il limbo nel quale il regista vuole portaci. «In quel limbo si prendere coscienza della realtà che abbiamo sotto gli occhi. E allora possiamo fermarci, riflettere e scegliere», perché lo stalking inizia da lontano. E all’inizio sembrano solo attenzioni piacevoli. «La presenza costante, le manie, la condivisione ad ogni costo di piaceri e passioni, quella frase che fa: “tu sei la mia vita”. Cose che all’inizio di un rapporto si percepiscono in maniera positiva e che quando finisce diventano un incubo».
Malamore coglie nel segno e anche le emozioni di Brancaccio arrivano dirette. Il suo futuro è il cinema neorealista e qui gli occhi gli si illuminano.
A quelli che criticano Gomorra dice: «E’ un capolavoro di tecnica e comunicazione, il problema di come viene percepito e metabolizzato attiene invece al tessuto sociale e culturale del territorio».
E in fondo «ha dato una scossa», aggiunge. «Perché adesso ci sono tanti set in giro e raccontano anche gli altri mille volti di Napoli e della sua provincia».
Un fermento atteso da anni, «incentivato dalla legge regionale e dal cambiamento della città, da sfruttare per far crescere una generazione di talenti locali».
Lui combatte per farcela: è partito dai tasti di avorio di un pianoforte ed è arrivato al Dams di Bologna. Poi dietro le macchine da presa della “Squadra” e di “Un posto al sole”, e quegli anni frenetici da aiuto-regia a “Porta a Porta”. Tanta roba a 37 anni. S’era preso una pausa lontano dal cinema, e ha viaggiato un po’ per il mondo organizzando grandi eventi per una multinazionale, poi ha vinto l’amore e la passione. Ha vinto il cinema. «Ho fondato 0% con Max Gaeta, Fancesco Caolo e Gianluca Punzi». In due parole: «La svolta». Prima Malamore, poi Clandestini. «Sarà la mia opera prima».