Torre del Greco. «A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra. A chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica», dice Luca in un passo del Vangelo. Parole, al momento, messe da parte da don Giosuè Lombardo: a 48 ore dallo schiaffo dell’Immacolata – alcuni portatori si sono rifiutati di riportare il carro trionfale in chiesa, come richiesto dal sacerdote dopo quattro schizzi d’acqua – il parroco non perdona l’affronto ricevuto durante la processione dell’otto dicembre, l’evento dell’anno a Torre del Greco. Così chi si aspettava una mano tesa a stemperare tensioni mai registrate all’ombra del Vesuvio resta deluso.
L’atto di riparazione
Sono le 11.15 quando il prete prende la parola in basilica, al termine della santa messa con i bambini della catechesi: «Il 9 dicembre dovrà diventare la “giornata della solidarietà” per il numero di messaggi ricevuti tramite WhatsApp e Facebook», esordisce don Giosuè Lombardo davanti alla folla accorsa all’interno della chiesa madre della quarta città della Campania per ricevere la benedizione negata il giorno dell’Immacolata. In effetti, il day after la clamorosa lite al porto si è consumato tra abbracci e sostegno al prete-simbolo di Torre del Greco. Sembra l’inizio della tregua. Invece, no. Il tono del sacerdote diventa greve, le parole pesanti come macigni: «Come il Beato nel 1794 dopo la grande eruzione non lasciò da solo il popolo e la città, così noi non lasceremo la parrocchia né la città», la prima risposta alla petizione promossa attraverso i social per invocare le dimissioni del parroco di Santa Croce. «Se non riusciremo a ottenere risposte dal questore e dal prefetto – prosegue don Giosuè Lombardo – e se non avremo risposte scritte dalla curia arcivescovile di Napoli, sarete voi stessi a dire ‘cari sacerdoti non potete rimanere da soli in mezzo ai dubbi’. Perché non può ricadere tutto sulle spalle di due uomini fragili che hanno studiato teologia per annunciare il Vangelo e non sono i responsabili dell’ordine pubblico». Appunto, il Vangelo.«A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra. A chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica», dice Luca. Il clima in basilica diventa gelido, tutti ripercorrono mentalmente le fasi concitate dello schiaffo all’Immacolata e gli occhi dei fedeli sembrano smarriti.
La bibbia e le pistole
Ma don Giosuè Lombardo tira dritto. Davanti al bivio del perdono, non esita un istante. Porta avanti il braccio di ferro con i portatori responsabili di «oltraggio a pubblico ufficiale, sospensione di manifestazione – le accuse del parroco – e sequestro del carro trionfale» tra le 13.30 e le 15.30 dell’otto dicembre: «Adesso, mantenendo questo clima di silenzio, dobbiamo fare l’atto di riparazione all’Immacolata. Perché sapete come si chiamano alcuni atti? Si chiamano sacrilegio. Come nelle case di alcuni violenti si trovano padre Pio e il mitra, la bibbia e le pistole, il libro di preghiera e il sangue che gronda dalla povera gente. Questo è stato fatto l’altro giorno, un sacrilegio. E stamattina con gli occhi dei bambini, facciamo un atto di consacrazione della città all’Immacolata». La tensione si scioglie in un applauso liberatorio per provare a scacciare le nubi nate sotto il ponte delle Fs di via Calastro durante la lite tra il parroco e alcuni portatori. Ma – all’uscita dalla chiesa – il sole non bacia la basilica, diventata teatro di scontri anziché pace.
twitter: @a_dortucci