Don Franco Esposito, cappellano a Poggioreale da quindici anni, cos’è il Natale in un carcere come Poggioreale?
«E’ senza dubbio uno dei momenti più difficili dell’anno, in cui la solitudine diventa un male insopportabile». Padre, in carcere ci finisce chi ha sbagliato. «D’accordo, ma è vero anche che l’istituzione carcere ha fallito».
Perché?
«Togliere gli affetti alle persone che sono in carcere è anticristiano, ma soprattutto abbruttisce ancora di più. E a Natale tutto diventa più triste».
E quel Cristo nato in cella nel presepe della chiesa di Poggioreale?
«Chi sbaglia sa che deve saldare i conti con la giustizia, però quel Cristo in carcere è una speranza di cambiamento. Un cambiamento che non deve coinvolgere solo i detenuti, ma anche le istituzioni. Io credo che sia necessario ripensare le modalità di incontri e visite, per esempio. Immagino un carcere con più spazi, dove si può cucinare, magari dove i detenuti possono condividere un pranzo con loro famiglie, con i loro figli. Se andiamo avanti così non recuperiamo anime».
Quanti sono i detenuti che cambiano davvero vita una volta usciti da Poggioreale?
«Diciamo che otto detenuti su dieci ritornano qui dentro. E soprattutto quando escono sono persone peggiori di come sono entrate. Da questo punto di vista il carcere non crea neanche sicurezza, come istituzione è un fallimento».
Tutto da rifare.
«A Poggioreale si contano circa 2.300 detenuti a fronte di una riabilitazione quasi nulla. Con i laboratori, l’impiego in alcuni lavori e la catechesi riusciamo a coinvolgere una percentuale minima, appena 400 detenuti».
Tutti gli altri?
«Tutti gli altri, per ventidue ore al giorno, restano in cella senza alcun interesse e attività che li coinvolga. Trascorrono anni e anni così, e poi vengono rigettati in strada, senza lavoro e assistenza, che cambiamento ci si può aspettare in questo modo?».
Se il carcere ha fallito, qual è l’alternativa?
«Lo Stato deve puntare su politiche educative e di reinserimento. Con la nostra associazione “Liberi di volare” senza aiuti dallo Stato, che non riconosce queste misure alternative, ospitiamo una decina di detenuti agli arresti domiciliari che vivono oggi nella nostra casa accoglienza, mentre una quarantina di detenuti sono seguiti da volontari e servizi sociali che si occupano di loro, coinvolgendoli in un percorso di coscienza del male e di vita legale con diverse attività».
Padre Esposito, in quindici anni lei ne ha visto qualcuno salvarsi?
«Sì, alcuni hanno intrapreso con l’aiuto dei volontari un cammino di liberazione, io li chiamo eroi perché rinunciano ai soldi che garantiscono loro la delinquenza e la camorra, senza la prospettiva neanche di un lavoro, vivendo spesso in condizioni di povertà e disagio spaventose».
Molti pensano che sia più giusto concentrare tutti gli sforzi verso i poveri nei giorni di festa come il Natale, la solidarietà verso i detenuti è ancora un sentimento raro.
«Perché ci facciamo condizionare dai reati che queste persone hanno commesso. Dio ci ha insegnato invece a perdonare. Non bisogna guardare i reati che hanno commesso, ma le persone che possono diventare. In carcere poi ci sono sempre più giovani, con enormi potenzialità, che possono essere un valore nella società. Abbandonare loro è come abbandonare il futuro. E poi ricordiamoci sempre che a volte ci sono errori che non si chiamano reati, ma possono fare ancora più male».