La presenza di camorristi ai bordi del campo, frange del tifo organizzato sugli spalti, clan che fanno soldi con le scommesse clandestine: da qualche decennio a questa parte calcio e criminalità organizzata sono un binomio che ha spesso riempito le cronache giudiziarie dei quotidiani. Del resto l’impressionante volume di danaro che gira attorno al pallone non poteva non attrarre chi, come i criminali, fa dei milioni (di euro) l’obiettivo principale della propria esistenza. Ma ci sono casi in cui calcio e camorra si sono incrociati senza che di mezzo ci fosse la vil moneta. È accaduto più di 35 ani fa, quando il football non era ancora quell’affare colossale che poi è diventato.
Anni ’80. Raffaele Cutolo e Jorge dos Santos Filho, detto “Juary”, fanno due mestieri diversi, due vite diverse, vivono in due mondi che non dovrebbero mai entrare in contatto. Cutolo è un boss, è il capo della Nuova Camorra Organizzata, un clan che domina in provincia di Napoli e in altre aree della Campania. Juary, invece, è un attaccante brasiliano e gioca nell’Avellino. Il club irpino lo ha acquistato nell’estate del 1980, anno in cui sono state riaperte le frontiere ai calciatori stranieri. I due non dovrebbero mai entrare in contatto anche perché mentre Cutolo è in carcere, inchiodato da qualche ergastolo, Juary è libero come l’aria e galoppa sui campi di calcio a grande velocità. Pur non essendo un fenomeno e pur non avendo un fisico possente (è alto un metro e 68), ha impiegato qualche settimana per dribblare gli scettici e far breccia nel cuore dei supporters avellinesi. A renderlo simpatico è anche il modo di esultare ogni volta che segna un gol: gira tre volte attorno alla bandierina del calcio d’angolo, inscenando quella che sembra una danza liberatoria.
Cutolo e Juary non si sarebbero mai conosciuti se di mezzo non ci fosse stato un legame comune: Antonio Sibilia, presidente dell’Avellino Calcio. Il brasiliano in poche settimane con i gol si è guadagnato stima e simpatia, è diventato un giocatore-simbolo della squadra ed è per questo che Sibilia decide di coinvolgerlo in un’iniziativa decisamente discutibile e che provocherà non poco imbarazzo. Come racconterà lo stesso calciatore in una intervista al quotidiano “Libero”, un giorno di ottobre del 1980 Juary viene chiamato dal presidente che, con il suo consueto tono perentorio, gli dice: «Domani tu devi venire con me». Il calciatore, ignaro del motivo della richiesta, spiega al numero uno del club che è impegnato con gli allenamenti insieme ai compagni, ma il presidente non ammette scuse: «Qui comando io». Juary capisce che non può tirarsi indietro, tanto più che il suo datore di lavoro è notoriamente un personaggio che non ama la diplomazia e che, soprattutto, non ama essere contraddetto.
Il giorno dopo a casa del brasi- liano si presentano due giovanotti che abitualmente fanno da scorta a Sibilia, che è costretto a non girare mai solo perché, essendo un facoltosissimo imprenditore edile, teme di essere rapito. «Erano talmente grandi », racconterà il calciatore, «che in mezzo a loro sembravo Arnold, quello del telefilm “Il mio amico Arnold”».
Lo infilano nella macchina, dove c’è già il presidente. Juary chiede dove stanno andando, ma la replica è secca: «Fatti gli affari tuoi!». Alcuni minuti dopo, l’attaccante che fa impazzire i tifosi dell’Avellino si ritrova catapultato in un altro “stadio” nel quale non immaginava mai potesse mettere piede: non ci sono cori, né prato, né folla sugli spalti. Ci sono, invece, uomini che indossano una divisa o una toga e ci sono diverse persone chiuse in dei gabbiotti e dall’aria tutt’altro che rassicurante. Sibilia, infatti, lo ha portato in tribunale, in mezzo a carabinieri,giudici e avvocati. E in fondo all’aula c’è un gabbiotto dentro il quale s’intravede un volto notissimo a tanti ma sconosciuto all’attaccante dell’Avellino: è proprio Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra Organizzata, impegnato in uno dei tanti processi che lo vedono alla sbarra come imputato di reati gravissimi. Ma perché quella mattina è stato trascinato in un’aula di giustizia, Juary non lo ha ancora capito. Comprende il motivo della missione solo quando Sibilia gli porge una medaglia dal peso di 70 grammi con su stampato da un lato un lupo, il simbolo dell’Avellino, e dall’altro una dedica al boss della camorra. Qualcuno dirà che la medaglia è d’oro, ma su questo punto non ci sono certezze. Com’è suo costume, senza dare spiegazioni il presidente dice al giocatore di avvicinarsi al gabbiotto che ospita Cutolo e di consegnargli la medaglia perché quel signore è uno suo fan, oltre che un tifoso dell’Avellino. Racconterà Juary: «Mi portano da quel tizio dietro le sbarre che voleva conoscermi. Io non sapevo chi fosse. Mi parla, si informa, mi saluta. Solo il giorno dopo ho capito».
La visita in tribunale dura pochissimi minuti, ma sono sufficienti per innescare una feroce polemica. Gli ingredienti per rendere piccante la vicenda sono diversi. Sibilia, infatti, non è sconosciuto alle cronache perché negli anni precedenti gli inquirenti hanno sospettato di una sua contiguità con la NCO di Cutolo, anche se il sospetto non ha mai prodotto conseguenze sul piano giudiziario. Ma proprio in virtù dei trascorsi del presidente, l’omaggio al boss da parte di Juary è l’occasione per riavvicinare il nome del camorrista al presidente del club irpino.
Qualche settimana dopo il sostituto procuratore Diego Marmo convoca Sibilia per contestargli l’apologia di reato, ma lui nega che quella medaglia fatta consegnare dall’attaccante brasiliano possa essere stato un gesto di deferenza o addirittura di plauso per l’attività di criminale di Cutolo. Sibilia spiega che si è invece trattato di un modo per ringraziare una persona che col suo “intervento” gli ha evitato di subire rapine e gli ha consentito di scampare a un tentativo di sequestro. E non è una cosa difficile da credere, perché all’inizio degli anni ’80 Cutolo è all’apice della sua potenza. E poi, aggiunge, c’è dell’altro: Cutolo avrebbe anche impedito alle Brigate Rosse di compiere un attentato allo stadio di Avellino, il Partenio, alla vigilia di una partita col Milan.Ovviamente è difficile sapere con certezza se e quanto il capo della NCO abbia davvero evitato sequestri, rapine e attentati, ma sta di fatto che mentre l’indagine sulla medaglia consegnata da Juary prosegue, Sibilia finisce nel mirino della magistratura per altre ragioni. Il 13 maggio del 1981 i giudici della decima sezione del tribunale di Napoli escludono che il presidente abbia legami organici con il gruppo di Cutolo e dichiara il “non luogo a procedere” nonostante il pm Libero Mancuso avesse chiesto la sorveglianza speciale per tre anni. Il 13 gennaio del 1983, invece, si conclude la vicenda processuale per la medaglia di Juary a Cutolo: i giudici della sesta sezione penale del tribunale di Napoli assolvono Antonio Sibilia dall’accusa di apologia di reato perché “il fatto non sussiste”.
Negli anni successivi Jorge Juary cambierà aria (Inter, Ascoli, Cremonese, Porto) e vincerà anche una Coppa dei Campioni (nel 1987), segnando il gol decisivo per il Porto nella finale contro il Bayern Monaco (2-1), mentre Sibilia avrà altre vicissitudini giudiziarie che però non influiranno sulla sua tempra: morirà nell’ottobre 2014 a quasi 94 anni.