È una ferita che non si rimargina, l’aggressione alla professoressa in una scuola di Santa Maria a Vico. Lascia un segno indelebile, e non soltanto sul volto di Franca De Blasio. La notizia diventa dibattito in tutte le scuole. Come lo è, da anni, l’esigenza di fronteggiare un’emergenza sociale e culturale nella quale, molti ragazzi pensano di poter regola i conti con la violenza, coi coltelli e con le pistole. Dentro e fuori dalle scuole. Dentro e fuori dalle famiglie. «Il fenomeno della criminalità minorile è allarmante ma la scuola non può combatterlo da sola». Donatella Solidone apre le porte del Liceo Severi di Castellammare a Metropolis, e mette sul tavolo tutte le emergenza di una scuola, come istituzione, che fatica a tornare punto di riferimento e contraltare al disagio giovanile. Suo marito è il giudice Luigi Riello, il procuratore generale di Napoli che pochi giorni fa ha diffuso, e analizzato, i dati sui reati più diffusi nel nostro territorio, approfondendo in maniera particolare l’emergenza delle baby-gang. Devastante e sconcertante a Napoli e in provincia. Riello ha detto a muso duro che «l’egemonia culturale in Campania è nelle mani dei delinquenti», per fare la didascalia all’immagine di una terra dove aumentano i procedimenti per associazione camorristica a carico dei minorenni. Donatella Solidone allo Scientifico Severi di Castellammare, fa la preside da pochi mesi e alcuni dei suoi alunni, nell’ambito di un progetto scuola-lavoro con Metropolis, hanno incontrato il colonnello Filippo Melchiorre, al vertice del comando gruppo dei carabinieri di Torre Annunziata. «Insegnare i cardini della legalità resta la nostra funzione principale. I ragazzi vanno sollecitati e di quell’incomntro con l’Arma sono stati entusiasti». Il problema è la forza che la scuola riesce a mettere in campo per contrastare il degrado culturale e sociale. «Per vincere occorre una rete virtuosa con le istituzioni, con le parrocchie e con le agenzie informative. Bisogna impegnarsi per intraprendere un percorso mirato al recupero delle relazioni umane». Per la preside «la scarsa comunicazione produce ripercussioni negative sui ragazzi» e in questo contesto «la scuola ha l’obbligo di ergersi a baluardo per la diffusione di valori da praticare e non soltanto da utilizzare per riempirci la bocca». Non le manda a dire la dirigente scolastica del Severi. Nemmeno alle famiglie. Anzi sottolinea l’inversione di rotta rispetto al passato nel rapporto tra genitori, alunni e docenti. E qui nasce il primo problema. «Quando un genitore iscrive il figlio a una scuola firma un patto formativo che impone una collabora
zione tra scuola e famiglia, un’alleanza che dovrebbe manifestarsi in una corresponsabilità nell’educazione dei ragazzi, per alcuni genitori, purtroppo, questo patto è un documento privo di significato». E così «la scuola rischia di diventare il bersaglio di tutti e si ritrova isolata». Il caso di Santa Maria a Vico è emblematico. «La collega ferita ha chiesto di essere comprensivi verso
l’alunno che l’ha ferita. Le sue parole meritano rispetto, ma io ritengo chela scuola ha perdonato troppe volte e questo atteggiamento le sta costando caro. Don Ciotti afferma che la punizione non è una forma di cattiveria, ma un atto d’amore. Io ritengo che, se rappresenta un’opportunità di consapevolezza e di recupero, la punizione è un fondamentale elemento educativo».
L’urlo nel plesso di frontiera: «I social ci portano via i figli»
La preside Antonella D’Urzo è alla guida dell’istituto Leopardi di Torre Annunziata. Circa mille studenti, scuola di frontiera nei rioni dove i bambini sanno già cos’è la camorra. «La notizia della professoressa sfregiata mette i brividi. E’ la conferma di come la scuola sia abbandonata. Non abbiamo più strumenti per intervenire». Perché è diventato così difficile parlare ai ragazzi? «Per noi è evidente. La scuola ormai non viene più rispettata, la cultura e lo studio non sono più visti come valori importante, non rappresentano una priorità. E allora la scuola non è più un punto di riferimento». La colpa di chi è? «Molto spesso alle spalle di questi ragazzi non ci sono più i genitori ancorati ai valori di un tempo. E non avendone non possono trasmetterli ai ragazzi. E per noi tutto diventa più complicato. Anzi, a volte, siamo colpevoli di voler andare controcorrente». Nella sua scuola si sono mai verificati episodi di violenza?
«Il nostro è un plesso che accoglie una platea di ragazzi molto vasta, e spesso sono ragazzi che assorbono i cattivi esempi nei rioni difficili di Torre Annunziata. Ci sono state aggressioni verbali e fisiche, certo». Ha mai visto ragazzi armati di coltelli? «Qui nessuno ha mai tirato fuori coltelli, ma non possiamo controllare quello che i ragazzi portano nello zaino o nelle tasche. Non abbiamo mezzi e volendo non possiamo fare perquisizioni. Purtroppo è una situazione difficile». Che indicazione dà alle sue colleghe impegnate in classe? «Io credo nel dialogo. Ai ragazzi vanno dette le cose senza filtri». L’escalation di violenza minorile e il boom del fenomeno delle baby-gang possono essere l’effetto Gomorra? «Decisamente sì. Gomorra è colpevole. Così come sono colpevoli i social». E la scuola? «Anche noi abbiamno colpe. Ma serve il sostegno delle famiglie».