Enrica Amaturo, direttrice del Dipartimento di Scienze sociali dell’Università Federico II di Napoli e presidente dell’Associazione nazionale di Sociologia, commenta non senza perplessità i registri comunicativi, per così dire, adottati dai partiti politici alla vigilia della tornata elettorale.
Perché, professoressa Amaturo, siamo giunti a questo punto?
«Perché è una campagna elettorale scialba: non ci sono proposte, non ci sono idee, non c’è la contrapposizione ideologica che pure ha caratterizzato i dibattiti fino agli anni ‘90. L’unico modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica è alzare i toni, utilizzare slogan collaudati e soffiare sul fuoco della conflittualità sociale. D’altronde, l’Italia patisce ancora gli effetti della lunga stagnazione economica per cui agitare gli animi offre alla gente una valvola di sfogo, appaga rancori e risentimenti. Il guaio è che si fa leva anche sugli umori dello spaccato più nevralgico della società che sono i giovani, soprattutto i cosiddetti “né-né”, coloro cioè che non studiano e non cercano lavoro. Attraverso un linguaggio semplice, diretto e stereotipato molti partiti solleticano le frustrazioni di questi ragazzi: non offrono problemi, ma li ingigantiscono».
Secondo lei, i leader politici sono consapevoli del clima che con le loro dichiarazioni direttamente o indirettamente generano?
«Direi di sì, è una campagna elettorale pensata per il breve termine e quindi l’importante è concentrare tutti gli argomenti in pochi giorni. Purtroppo è un quadro da cui si denota anche tanta irresponsabilità dei leader. Nel caso fosse necessario un governo di larghe intese, come sarà possibile giungere a delle mediazioni dopo i veleni di queste settimane? L’importante per loro non è elaborare il pensiero, è trovare le migliori scorciatoie linguistiche, così i temi salienti diventano marginali. Si puntano pochi argomenti che fanno presa sulla gente, trascurando completamente quelli vitali come gli investimenti per il lavoro, la ricerca scientifica, la crescita del Mezzogiorno. La maggioranza degli italiani è convinta che la priorità assoluta sia la creazione di posti di lavoro, non certo l’arrivo dei migranti. Senza dubbio questo dramma va affrontato efficacemente, ma non è cima ai pensieri degli italiani anche se alcune forze politiche, per esempio, ne hanno fanno fatto l’unico cavallo di battaglia.
Come mai è scaduta la qualità del linguaggio politico?
«I politici rappresentano uno spaccato del Paese. E’ venuta meno l’educazione all’elaborazione critica del pensiero e del rispetto per quello altrui. Grazie ai social tutti hanno diritto di tribuna e ciò, sullo sfondo di un’ignoranza dilagante, ha abbassato il livello del linguaggio. Anche il rapporto dialogico in politica ne ha risentito. Basti considerare i contenuti che circolano e le argomentazioni che animano i salotti televisivi: vince chi grida o insulta di più, non chi dice cose sensate. Mi duole dover constatare che anche i partiti seguono questa onda lunga del populismo avendo rinunciato, in primis, alla formazione di una classe dirigente capace e di elaborare idee e progetti».
Di certo i politici attuali non hanno la preparazione dei loro predecessori: quanto ha inciso la crisi del sistema dell’istruzione?
«Molto. Tutto il settore dell’istruzione è in affanno e non si scorgono prospettive incoraggianti: le continue riforme “riformate” hanno creato una situazione nella quale la società della conoscenza è marginalizzata. A questo aggiungiamo l’invasività massificante di internet che esalta la superficialità dei contenuti e penalizza la profondità del pensiero. Non sono una passatista in senso stretto, sono anzi aperta all’innovazione, ma di certo va ripensato il sistema dell’istruzione».