Immaginato come un guerriero da Pablo Neruda, il carciofo, con spine o senza, difende fino alla fine il proprio intimo segreto: un cuore delicato e gustoso. Si perché dietro la corazza delle foglie dure e fibrose c’è un cuore tenero. Ma bisogna saperci fare, bisogna spogliarlo lentamente, una brattea alla volta. Eppure, al di la dell’aspetto truce, siamo di fronte ad uno degli alimenti più sani e salutari che ci siano e per molti versi uno degli ingredienti più tipici della dieta mediterranea. Dalle proprietà organolettiche a tratti unici, i carciofi hanno importanti virtù terapeutiche, purificanti e disintossicanti e sono una vera e propria miniera di ferro, di vitamine e di altri elementi utili all’organismo. In Campania abbiamo ben tre pregiate qualità di carciofo. Due crescono nel salernitano, alle porte del Cilento e l’altra ai piedi del Vesuvio, in provincia di Napoli. La prima, che rappresenta l’80% della produzione regionale, è il “Carciofo di Paestum”detto anche il “Tondo di Paestum”. E’ un carciofo tondo, compatto dalle brattee serrate e senza spine, di colore verde con sfumature violacee e di medie pezzatura. La sua precoce maturazione può essere considerata una particolarità conferitagli dall’ambiente di coltivazione, la Piana del Sele, che gli consente di essere presente sul mercato(da febbraio a maggio) prima di ogni altro carciofo di tipo Romanesco. Ed il clima che caratterizza l’area di produzione gli infonde la tipica ed apprezzata tenerezza e delicatezza. Le radici della sua coltivazione risalgono ai tempi dei Borboni, il cui ufficio statistico segnalava la presenza di carciofi nella zona di Evoli, l’attuale Eboli, e Capaccio ed oggi a giusta ragione è arrivato a guadagnarsi il marchio di tutela Igp. L’area di produzione del “Carciofo di Paestum” Igp è concentrata nella Piana del Sele e più precisamente nei comuni di: Agropoli, Albanella, Altavilla, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Pontecagnano Faiano, Serre. L’altra qualità salernitana è il “Carciofo Bianco di Pertosa” che si produce nei comuni di Auletta, Caggiano, Pertosa e Salvitelle. Esso è una specie privo di spine, dal colore molto chiaro tendente all’argento e di piccole dimensioni. Negli anni 80 era quasi estinto poi un gruppo di agricoltori l’ha fatto rinascere organizzando un consorzio di tutela che oggi gestisce 15 ettari. Anche lo Slow Food l’ha inserito tra i suoi “Presìdi” ed ogni anno viene celebrato con una sagra che nell’edizione 2018 si terrà a Pertosa dal 2 al 6 maggio con degustazioni e visite guidate al locale Museo ed alle famose grotte. La superba qualità napoletana è, invece, il “Carciofo di Schito” che prende il nome dal quartiere periferico di Castellammare di Stabia, che confina con Pompei, dove c’è la maggiore concentrazione di orti che lo coltivano. Esso ha una storia molto più antica. Quella zona, infatti, già da prima della grande eruzione del 79 d.C. si chiamava “Orti di Schito” e produceva le verdure e la frutta per i patrizi che arrivavano dalla Roma imperiale. Oggi nei piccoli appezzamenti salvati dall’urbanizzazione selvaggia si continua a coltivare questa varietà di carciofi in modo molto particolare. I contadini della zona, infatti, li coprono con una ciotola di terracotta, detta “pignattella”, per proteggerli dalle intemperie invernali e dal sole durante la maturazione, rendendoli, così, più chiari e più teneri. Essi si presentano di forma rotonda e dal colore violetto. Quest’ortaggio che per il passato è stato un importante elemento per l’economia delle famiglie contadine dell’area che si estende intorno alla foce del fiume Sarno, oggi grazie allo Slow Food che lo ha inserito tra i suoi “Presìdi” è stato riscoperto e rivalutato anche dalla grande ristorazione.
Fruit and vegetables stall in a Venetian boat, Italy
GUSTO
27 aprile 2018
Di Schito o di Paestum. Ecco il re dell’orto campano