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Taglia all’editoria: prima crepe nel M5S, i parlamentari eletti sul territorio riconoscono l’importanza dei giornali locali
CRONACA
25 ottobre 2018
Taglia all’editoria: prima crepe nel M5S, i parlamentari eletti sul territorio riconoscono l’importanza dei giornali locali
Tiziano Valle

«I grandi editori non percepiscono contributi pubblici». «Il fondo per il pluralismo dell’informazione serve a contribuire solo a una parte dei costi delle cooperative no-profit che hanno l’obbligo in Statuto di non dividere gli eventuali utili, che non hanno finanziatori e nella stragrande maggioranza dei casi garantiscono l’informazione locale». Sono queste le verità che stanno minando pian piano le certezze di parte della base e degli elettori del Movimento Cinque Stelle davanti alle parole del sottosegretario Vito Crimi che dal palco del Circo Massimo ha annunciato in pompa magna: l’abolizione dei fondi per il pluralismo dell’informazione.

La spaccatura

La battaglia del Movimento 5 Stelle contro i fondi all’editoria nasce nel 2008, quando il sistema dei contributi prevedeva anche il finanziamento ai giornali di partito oltre che a quelli che già potevano contare su editori-finanziatori. Un sistema che ha toccato il suo apice nel 2004 quando venivano erogati circa 700 milioni di euro a centinaia di testate, anche nazionali. Nel tempo i criteri sempre più rigidi di accesso al sostegno alla carta stampata ha fatto scivolare quella cifra ai 50 milioni del 2017, che nella stragrande maggioranza dei casi finisce per coprire parte dei costi di gestione delle cooperative e degli enti morali che fanno informazione locale. Tra l’altro il sostegno viene erogato in base al personale assunto, alle copie vendute e solo a chi presenta bilanci certificati alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Insomma, il governo negli anni si è garantito che quei contributi non venissero concessi a pioggia e in modo indiscriminato, ma solo ad aziende che garantiscono realmente occupazione e pagano le tasse, permettendo inevitabilmente allo Stato di recuperare parte del contributo stesso. Circostanze che di fatto hanno diviso anche la stessa base del Movimento Cinque Stelle, tant’è vero che Metropolis ha accolto il parere di attivisti locali: come Orfeo Mazzella di Torre Annunziata o dell’associazione Piazza Attiva di Castellammare di Stabia, mentre altri hanno scritto post sui social o in privato di sostegno all’operazione-verità avviata dal nostro giornale e da tante testate locali in tutta Italia. Il punto è che dai tempi di quella battaglia avviata nel 2008 dal Movimento Cinque Stelle, tanto è cambiato nel sistema del sostegno all’editoria e in particolare alla carta stampata. E a distanza di 10 anni da allora, in tanti stanno cominciando ad avere perplessità sull’annuncio del sottosegretario Vito Crimi di abolire il fondo per il pluralismo dell’informazione.Dubbi che riguardano due aspetti: il Movimento Cinque Stelle, partito nato con l’ambizione di difendere gli “ultimi”, non può permettersi di accollarsi un terremoto di settore che provocherebbe migliaia di licenziamenti in tutta Italia tra operatori diretti e dell’indotto; l’abolizione del fondo per il pluralismo eliminerebbe dal mercato dell’informazione solo le cooperative no profit ad appannaggio di quella finanziata dai grandi editori. Un paradosso.Inoltre, c’è un altro aspetto. La base del Movimento Cinque Stelle riconosce la funzione sociale dell’informazione sul territorio, avendo più volte cavalcato proprio le battaglie e le notizie diffuse dai giornali del territorio. O addirittura essendo stati loro stessi, come accade a tanti, fonti di notizie riportate sulla carta stampata senza alcun tipo di censura. Esempi lampanti – solo per citarne alcuni – la marcia per dire “no” alle cisterne al porto di Torre Annunziata, alla quale parteciparono tanti attivisti e cittadini, passando per le interrogazioni parlamentari presentate dalle deputate stabiesi, proprio riportando le notizie diffuse dalla stampa locale. Stesso discorso che pian piano si sta alimentando in altre regioni, con gli stessi risultati.Questioni che pongono interrogativi e che di fatto – silenziosamente – stanno alimentando spaccature tra gli integralisti che difendono una battaglia vecchia di 10 anni e superata dal tempo e chi invece vorrebbe una riflessione seria su una decisione drastica, che avrebbe ripercussioni occupazionali, economiche e sociali senza precedenti.

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