Il filo diretto tra Stato e camorra era legato ad anonimi cellulari a basso costo. Dei “citofoni”, come li ha definiti il pubblico ministero dell’Antimafia, Ivana Fulco, all’interno dei quali venivano caricate sim intestate a ignari cittadini stranieri. Per lo più cinesi. Qualche chiamata e via. La scheda veniva buttata nella spazzatura assieme al telefonino. Un modo per comunicare, senza il rischio di essere intercettati, prendendo in contropiede gli inquirenti. Come avrebbe suggerito al boss proprio uno dei carabinieri finiti al centro dello scandalo. E’ uno dei tanti retroscena del presunto accordo tra divise e camorristi venuto fuori, nei giorni scorsi, nel corso del processo che vede imputati, tra gli altri, anche 3 carabinieri che tra il 2005 e il 2009, erano in servizio alla caserma di Torre Annunziata. A raccontarlo è stato, in aula, il boss dello spaccio del Piano Napoli di Boscoreale, Francesco Casillo. L’ex collaboratore di giustizia che con le sue rivelazioni, datate 2011, ha raccontato, all’allora pm antimafia Piepaolo Filippelli, del presunto patto tra alcuni pezzi dello Stato e l’organizzazione criminale che aveva trasformato quel rione di case popolari in un droga-shop a cielo aperto capace di fatturare incassi record. Casillo, nonostante abbia interrotto la sua collaborazione con la giustizia, ha di fatto confermato le dichiarazioni rese agli inquirenti ormai 8 anni fa. Va chiarito, comunque, che nell’altro processo innescato da questa inchiesta – quello con rito abbreviato – gli altri carabinieri sospettati di essere a libro paga del boss sono stati tutti assolti in via definitiva. Le dichiarazioni di Casillo sono state ritenute «generiche» dai giudici.
CRONACA, Torre Annunziata
12 maggio 2019
Torre Annunziata. Schede sim intestate ai fantasmi: «Così parlavo coi carabinieri»