Quando morì, il 28 ottobre 2008, sotto i colpi dei killer che lo ammazzarono senza pietà (uccidendo anche un innocente che era con lui, Federico Donnarumma), il ras Carmine D’Antuono aveva in corso una causa contro lo Stato. Una richiesta di risarcimento per un periodo di ingiusta detenzione, tra carcere e arresti domiciliari, patita nel corso del 2003. A distanza di oltre 10 anni dalla sua morte, la Corte di Cassazione ha dato ragione ai suoi parenti – la moglie e i tre figli – che hanno continuato quello scontro legale in qualità di suoi eredi. Lo Stato dovrà risarcirli.
La vicenda
La questione riguarda circa sei mesi di detenzione – tre in carcere, altri tre agli arresti domiciliari – che Carmine D’Antuono aveva subito tra maggio e novembre del 2003. Il noto pregiudicato, ritenuto storicamente vicinissimo a Mario Umberto Imparato, era finito coinvolto in una vicenda di libretti bancari fantasma, culminata, nel 2001, in una “rapina anomala” a una banca di Gragnano. Una vicenda complicata, che anche sul piano giudiziario ebbe diversi colpi di scena. E alla fine, vide uscire assolto Carmine D’Antuono. Sia in primo grado che in Appello, con sentenza diventata definitiva a giugno 2008, quattro mesi prima del suo omicidio. Da qui, la richiesta di risarcimento per quel periodo di privazione della libertà personale, al quale, dopo la sua morte, erano subentrati in qualità di eredi, la moglie e i suoi tre figli.
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