Cosa rappresenta per gli americani una piccola città come Seattle? Ecco tre definizioni secche. Primo: è il posto più piovoso degli States. Secondo: ha dato i natali a Jimi Hendrix e Kurt Cobain. Terzo: a cavallo tra la fine degli ’80 e i ‘90 a Seattle un manipolo di “giovani favolosi” (che poi fu definita Generazione X) ha rivoluzionato il mondo della musica. E scusate se è poco, direbbe chi a Seattle ci vive e soprattutto ha vissuto quell’epopea. La rivoluzione inizia con la nascita di un giornale clandestino, la fanzine Sub-Pop fondata da Bruce Pavitt, quattro fogli distribuiti a mano che parlavano di punk music e di bands locali; sarà il fulcro di una delle etichetta discografiche più influenti della storia del rock, con l’ingresso di Jonathan Poneman e la pubblicazione di due compilations diventate epiche: “Sub-Pop 100” e “Sub-Pop 200”, la prima è una semplice raccolta di band indipendenti non legate alla “scena” di Seattle, la seconda testimonia invece la nascita di un nuovo genere musicale. Il team Sub-pop, da lì a due anni, (la compilation era del 1988), crea dal nulla il fenomeno “grunge” grazie alla follia del demiurgo Jack Endino, cantante chitarrista degli Skin Yard, fonico e produttore di riferimento del Seattle sound. Nella Sub-Pop 200 compaiono band destinate a diventare icone mondiali: Soundgarden, Screaming Trees, Mudhoney, Nirvana, Green River, Fluid, Tad e via dicendo. Si tratta di un sound pieno di contaminazioni (hard rock metal misto al punk e alla psichedelia) che spazia da stili vocali “zeppeliniani” ad atmosfere urlate tipiche del punk. Insomma una nouvelle vague musicale rivoluzionaria, nonostante tematiche estremamente derivative. Emblematica la storia dei Green River, vera pietra filosofale del grunge: da questa band seminale si formarono due gruppi fondamentali come Mudhoney e Mother Love Bone, questi ultimi forse i più glam rock dell’intero movimento, capitanati dall’icona per eccellenza dei cantanti di Seattle, Andy Wood, disperato cantante dei Malfunkshun e figura di grande ispirazione per tutto il movimento al tal punto che, alla sua morte per overdose, i Soundgarden e i Mother Love Bone (attenzione a questa band) gli dedicarono un album, Temple of the dog. Chris Cornell, leader dei Soundgarden, mette in pratica in maniera sublime la lezione di Paul Rogers, cantante del gruppo hard blues inglese “Free”. Ma non solo: in quel disco c’è il debutto ufficiale di un giovanissimo Eddie Vedder che trasformerà i Mother Love Bone nei Pearl Jam (che insieme agli Alice in Chains erediteranno il dna di Seattle diventando due delle band più famose al mondo). Nel giro di due anni (dall’88 al ’90) Seattle sforna una serie di album ancora attualissimi grazie ad etichette indipendenti come la C/Z e la Sst, protagoniste insieme a Sub-pop di un vero e proprio movimento culturale. La “tetrade” Nirvana, Soundgarden, Mudhoney, Screaming Trees germoglia sotto l’autorevole influenza di band storiche come Stooges e Black Sabbath (Nirvana), Led Zeppelin e Black Flag (Soundgarden), Sonics ed MC5 (Mudhoney) e Doors (Screaming Trees), il tutto condito da ingredienti psichedelici di californiana memoria. Un mix esplosivo che non può rimanere sotto silenzio. Infatti le Major si lanciano sulle band come sanguisughe assetate di denaro e di successo: la Polygram scrittura i Mother Love Bone, la A&M si accaparra i Soundgarden, la Geffen centra il colpo Nirvana, la Epic scommette su Screaming Trees e Pearl Jam, la Columbia su Alice in Chains. Il passaggio alle etichette multinazionali però preoccupa i fan, terrorizzati da possibili virate mainstream. Nulla di tutto questo: gli album prodotti dalle major sono gemme immortali come Apple dei Mother Love Bone, Nevermind dei Nirvana, Louder Than Love e Badmotorfinger dei Soundgarden, Sweet Oblivion degli Screaming Trees, Ten dei Pearl Jam e Would degli Alice in Chains. Una miniera d’oro che però si esaurì ben presto, confermando in parte le perplessità dei fan: quando le major si misero alla spasmodica ricerca dei cloni dei Nirvana arrivarono gli Stone Temple Pilots, seppellendo per sempre la magia del grunge.
(alfonso bruno)