Nel carcere di Novara la vita è un eterno replay. I giorni sono tutti uguali, come i corridoi grigi e cupi che accarezzano le celle del 41 bis. Le “suite” di camorristi, mafiosi, ‘ndranghetisti e terroristi sono in fondo a un lungo sentiero lastricato di divise e cancelli. In una di quelle 72 stanze da 5 metri quadrati c’è un uomo di 66 anni che il carcere ha trasformato quasi in un automa. E’ piegato sul letto. Uno dei tre libri che gli è consentito leggere lo usa come base per un foglio di carta a righe dove poggia la sua penna. «Signor giudice sono Valentino Gionta, nato a Torre Annunziata il 14 gennaio del 1953», scrive quell’uomo, mentre la sua penna diventa la sua voce. «Ho commesso degli errori ma il 41 bis è una tortura disumana che nessuno merita di vivere» grida con l’inchiostro il padrino che ha fondato uno dei clan più potenti, spietati e sanguinari della storia della camorra. L’uomo che si sedeva a tavola con la mafia di Totò Riina, che rubava ai terremotati per comprare con i soldi della ricostruzione i carichi di droga. L’uomo che ha trasformato la sua Torre Annunziata in Fortàpasc oggi è un pezzo di carne consumato dal tempo che non ne può più di un’esistenza da sepolto vivo., si trovano al carcere duro. Con loro anche il nipote omonimo di Valentino Gionta senior, finito al carcere duro ad appena 20 anni.
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