E’ il sindaco di Agerola da diversi anni. Un piccolo comune dei Monti Lattari protagonista di un boom turistico senza precedenti. Luca Mascolo, però, è anche uno di quelli che nel Pd, partito al quale appartiene, non ha mai abbandonato Matteo Renzi. Nemmeno nei giorni difficili della sconfitta al referendum e di quella alle Politiche. Mascolo interviene sul dibattito sollevato da Metropolis sul ruolo della sinistra, sulle sue colpe e sul futuro del riformismo in questo Paese e nel nostro territorio.
Sindaco cosa pensa dell’analisi suo ruolo della sinistra?
«Ho letto con interesse l’analisi che devo definire impietosa da parte del Direttore, da cui emerge però un dato: che la funzione ineludibile dei partiti è una funzione che va recuperata, manca e sta mancando in questi anni il meccanismo di selezione della classe dirigente, la valorizzazione delle esperienze amministrative, le buone pratiche dei Comuni. Perché, purtroppo, il racconto che si fa è quello che vede da un lato i sindaci visti dalle procure come i capi delle cupole mafiose, dall’altro lato come approfittatori interessati, e nei partiti come oligarchi. Questo è uno storytelling che non ci appartiene. La verità è che però in giro ci sono tanti bravi sindaci e amministratori locali che vanno valorizzati. Perché la sinistra deve ripartire dagli amministratori».
Ma secondo lei cosa ha sbagliato in questi mesi, in questi anni, la sinistra?
«In effetti c’è un limite di comunicazione di uno strumento non adeguato al passo coi tempi. Dobbiamo avere, però, il coraggio di ribaltare il tavolo. Chiediamoci se dobbiamo inseguire il populismo imperante ed adeguarci a questa deriva o leggere la realtà in termini nuovi, proponendo merito, sudore, fatica e impegno. Dobbiamo fare i conti con la dicotomia tra l’incapacità, l’impreparazione e l’incoscienza che governa l’Italia e addirittura il cinismo esasperato di inseguire tutte le pulsioni: ma ciò che dobbiamo fare è ritrovare serietà, competenza e merito. Se vogliamo parlare alle classi sociali disagiate dobbiamo tornare nei luoghi del dolore e capire che la società italiana è una società complessa. Se vogliamo trovare soluzioni semplici a problemi complessi significa che è inutile tutto ciò».
Lei è uno di quelli che non ha mai rinnegato l’appartenenza all’area Renziana. Soprattutto in un momento storico in cui in molti sembrano non aver mai neanche conosciuto Renzi. Non crede che vi siano anche responsabilità di quella stagione di governo nella crisi della sinistra?
«E’ un ragionamento di parvissima materia. Criticano il Jobs act che ha dato un milione di posti di lavori a tempo indeterminato. La buona scuola, oltre le fake news e le barzellette, ha una logica di base condivisibile ed ora se ne stanno accorgendo in molti. C’è stata l’applicazione di un algoritmo in modo inappropriato. Ma si capisce che la buona scuola è basata su basi pedagogiche serie. Al centro mettiamo l’alunno e non l’insegnante, rispetto al passato. Errori ne sono stati fatti, ma inseriti in un meccanismo di devastazione social ci hanno portato a piangerci addosso e a distruggere l’unico leader, che era Matteo Renzi».
Ma il Pd, allora, che deve fare? Suggestione del partito unico, dialogare con i movimenti di sinistra…?
«So ciò che non si deve fare. Non dobbiamo andare a dividere l’atomo. Il fronte progressista e riformista deve unirsi, basta con la marea di sigle per i notabili, si deve creare un fonte unico che guardi all’ambiente, al lavoro, alla scuola, ai giovani e al Mezzogiorno che è un tema scomparso dall’agenda politica. L’autonomia differenziata sarà la tomba dello sviluppo e viene sostenuto da partiti che mantengono consenso come i Cinque stelle e la Lega, che stravince al Sud. Questi sono i temi su cui confrontarsi. Sono le vere emergenze su cui bisognerebbe fare un’analisi della realtà. Se il Pd ripartisse dai suoi bravi amministratori avrebbe più forza e capacità e meno necessità di smantellare l’esistente».
Vincenzo Lamberti