All’inizio fu l’idillio col governo Renzi e l’Anticorruzione era stella polare. Poi quella stagione positiva subì qualche incrinatura pur proseguendo nei risultati. Il cambio di governo, anche senza interrompere il cammino, ha segnato un cambio di passo. E via via l’Anac ha avuto un riposizionamento, dinamica che ha toccato anche il suo uomo-simbolo. La parabola di Raffaele Cantone alla guida dell’Autorità oggi si chiude, e per lui si riapre la strada su cui aveva già camminato a lungo: quella di magistrato. Nato a Napoli il 24 novembre 1963, Cantone è entrato in magistratura nel 1991. Fino al ’99 si è occupato principalmente di criminalità economica. Poi, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, di cui ha fatto parte fino al 2007, con le indagini sulla camorra e i Casalesi che hanno portato all’ergastolo boss quali Francesco Schiavone, detto Sandokan, Francesco Bidognetti e Walter Schiavone. Alla guida dell’Anticorruzione Cantone arriva poco più di cinque anni fa: il 27 marzo 2014 l’allora premier Matteo Renzi lo propose per la presidenza, nomina confermata dal Parlamento. La scadenza naturale del mandato sarebbe stata marzo 2020. Oggi il colpo di scena, in parte annunciato, visto che nelle scorse settimane Cantone aveva presentato al Csm la sua candidatura per un incarico direttivo presso tre uffici giudiziari. Ora, dopo le vicende che hanno colpito il Csm e resi incerti i tempi delle nomine, Cantone chiede di tornare dove si trovava prima di approdare all’Anac: al massimario della Cassazione. Quando Renzi lo volle all’Anticorruzione, il compito era risollevare le sorti di un organismo che esisteva solo sulla carta. Lui divenne subito un personaggio ad altissima esposizione mediatica. E in tanti, avendo faccende delicate da trattare, si fecero avanti per chiederne l’imprimatur quale lasciapassare di legalità, trasparenza e correttezza. “L’Anac non dà il bollino”, ripeteva lui come un mantra. Lunga la lista di dossier passati per le sue mani. Si va dal Mose al Codice degli appalti, dalle nomine di Virginia Raggi a quelle dei manager Rai, dalle concessioni autostradali agli indennizzi per gli obbligazionisti colpiti dai crack bancari, dalle gare dell’Atac a quelle per il post terremoto. Con il governo Conte i rapporti sono iniziati all’insegna del buon vicinato e poi si sono gradualmente raffreddati. Snodo importante è stata la riforma del codice degli appalti, un testo mal digerito dal mondo delle imprese, convinto che non si debba ingessare con troppe regole il mercato degli appalti dove invece c’è bisogno di semplificazione. Una linea che trova appoggio nel governo e ha per così dire messo in minoranza Cantone. Anche sulla legge ‘spazzacorrotti’ firmata Bonafede il presidente dimissionario dell’Anac non ha manifestato grande entusiasmo. Una giornata di alta tensione si registrò il 10 ottobre scorso, quando in audizione alla Camera Cantone bocciò il decreto per il ponte di Genova denunciando il rischio di infiltrazioni mafiose. Si scatenò un botta e risposta piccato con Palazzo Chigi. “Nessuna deroga”, assicurarono dalla Presidenza del consiglio. “Credo non abbiano capito”, rispose Cantone. C’è da dire, però, che anche col precedente governo qualcosa a un certo punto si incrinò. E non solo nei rapporti tra Renzi e Cantone. A fine aprile 2017, premier Gentiloni, divenne un caso la cancellazione dal Codice appalti di una norma che affidava particolari poteri di controllo e sanzione all’Anac. Gentiloni chiamò Cantone da Washington e poco dopo Palazzo Chigi diffuse una nota in cui assicurava: “nessuna volontà di ridimensionare i poteri Anac”, “si porrà rimedio”. Ma già allora uno strappo si era consumato
CRONACA
23 luglio 2019
Raffaele Cantone, dalle battaglie contro la camorra all’Anac