E’ stato uno dei principali obiettivi di tutti i ministri dell’Interno che si sono succeduti negli ultimi anni al Viminale. Ora ci prova il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ad aumentare la quota dei rimpatri dei migranti irregolari, quelli che non hanno diritto all’asilo o ad altre forme di protezione. Ma i dati non si sono mai schiodati da una cifra, poco più di 6mila l’anno, considerata insoddisfacente in rapporto al gran numero di irregolari presenti in Italia. La causa è soprattutto una: la mancanza di efficaci accordi di riammissione con i Paesi di provenienza che dovrebbero accogliere i propri connazionali ‘respinti’ dall’Italia. Sono solo 4, da alcuni anni ormai: con Tunisia (il più consistente, l’intesa prevede un massimo di 80 rimpatri a settimana, in realtà difficilmente si superano i 40, Marocco, Egitto e Nigeria.
Già, perchè per rimpatriare un migrante trovato in posizione irregolare in Italia serve che lo Stato di provenienza lo riconosca come suo cittadino – tramite una visita del console al centro dove è ospitato ed il rilascio di un apposito documento – ed accetti di riprenderselo. Cosa niente affatto scontata. Lo scorso anno l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini volò a Tunisi con la speranza di strappare un aumento dei rimpatri settimanali, ma tornò in Italia a mani vuote. Attualmente il Paese nordafricano è senza Governo ed un eventuale ridiscussione degli accordi di riammissione andrà negoziato col nuovo Esecutivo che potrebbe non insediarsi prima di novembre. Egitto, Marocco e Nigeria non sembrano intenzionati ad aumentare la loro quota di ‘riammessi’. Anche in questo caso, comunque, servono trattative ed incentivi economici adeguati per invogliare i Paesi a farsi carico dei connazionali ‘fuggiti’ in Italia. I dati dei rimpatriati in questi primi 9 mesi del 2019 li ha forniti la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese: sono 5.261. Numero in linea con quelli registrati in tutto il 2018 (6.820) e 2017 (6.514). Si registra invece un netto calo dei rimpatri volontari assistiti: 200 nel 2019, contro i 1.161 del 2018 ed i 969 del 2017. C’è da dire che l’andamento dei rimpatri non è migliore negli altri Paesi europei. Non a caso Lamorgese, due giorni fa davanti alle commissioni parlamentari, ha espresso “l’esigenza di promuovere ogni iniziativa a livello europeo per favorire nuovi accordi di riammissioni” con i Paesi di partenza dei flussi “e implementare quelli in vigore”.
E c’è anche da considerare il costo dei rimpatri. Si parla di circa 1.400 euro l’uno, considerando il volo ed i servizi di accompagnamento e scorta svolti dalle forze dell’ordine. Altro problema, infine, è quello dei Centri di permanenza per il rimpatrio, le strutture dove sono ospitati i migranti da rimandare in Patria. Attualmente sono sono solo 6 quelle funzionanti: Palazzo San Gervasio (Potenza), Ponte Galeria (Roma), Torino, Caltanissetta, Brindisi e Bari; con una capienza complessiva di circa 2.200 persone. Se il decreto annunciato oggi aumenterà il numero dei ‘rimpatriandi’, dovranno crescere anche i Cpr, che però non si riescono ad aprire anche per l’opposizione degli enti locali.