L’Italia deve riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce la concessione di benefici per i detenuti condannati al carcere a vita, soprattutto mafiosi e terroristi, se non collaborano con la giustizia. Questa limitazione è infatti contraria all’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani che vieta trattamenti inumani e degradanti. La Corte europea dei diritti dell’uomo mette fine alle speranze del governo italiano. Perchè la Gran Chambre di Strasburgo ha respinto la sua richiesta di un nuovo giudizio, avanzata dopo la condanna del 13 giugno scorso, che diventa così definitiva. Una decisione che provoca una dura reazione da parte del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e del leader dei Cinquestelle Luigi Di Maio, che affermano di non condividere “nella maniera più assoluta” la pronuncia. “Faremo valere in tutte le sedi le ragioni dello Stato italiano e di una scelta che lo Stato ha fatto tanti anni fa: una persona può accedere ai benefici a condizione che collabori con la giustizia”, annuncia il Guardasigilli, che nei giorni scorsi aveva più volte ribadito come la legge fosse un caposaldo della lotta alla mafia e aveva paventato il rischio di una delegittimazione per il 41 bis. La Dure critiche anche dall’opposizione: la sentenza è “una follia” dice Matteo Salvini mentre Giorgia Meloni la definisce “scandalosa”. Intanto, il 22 ottobre sarà la Corte costituzionale a pronunciarsi sull’ergastolo ostativo. Il caso deciso dalla corte di Strasburgo è quello di Marcello Viola, in carcere dall’inizio degli anni ’90 per associazione mafiosa, omicidio, rapimento e detenzione d’armi. L’uomo si è finora rifiutato di collaborare con la giustizia e gli sono stati quindi rifiutati due permessi premio e la libertà condizionale. Nella sentenza la Corte spiega che lo Stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia. I giudici di Strasburgo ritengono che “la non collaborazione” non implica necessariamente che il condannato non si sia pentito dei suoi atti, che sia ancora in contatto con le organizzazioni criminali, e che costituisca quindi un pericolo per la società”.
La Corte afferma che la non collaborazione con la giustizia può dipendere da altri fattori, come per esempio la paura di mettere in pericolo la propria vita o quella dei suoi cari. Quindi, al contrario di quanto affermato dal governo, la decisione se collaborare o meno, non è totalmente libera. Allo stesso tempo a Strasburgo ritengono che la collaborazione con la giustizia non comporti sempre un pentimento e l’aver messo fine ai contatti con le organizzazioni criminali. Dai Cinquestelle arrivano le bordate più pesanti contro la sentenza. A cominciare da Di Maio che dice: “Qui piangiamo ancora i nostri eroi, le nostre vittime, e ora dovremmo pensare a tutelare i diritti dei loro carnefici?”. “La Cedu ha deciso di andare allo scontro con l’Italia. Questa sentenza permetterà a tanti altri ergastolani di poter adire le vie legali ottenendo prevedibilmente ragione”, avverte il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra, che si preoccupa non solo di “risarcimenti milionari” che i mafiosi potranno chiedere, ma parla anche di un’ “offesa a generazioni di italiani”. E pure i magistrati sono contrari. Come l’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: “la decisione di non accogliere il ricorso dell’Italia è figlia di una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano.
Non è un caso che l’abolizione dell’ergastolo fosse uno dei punti del papello di Riina per fermare le stragi. Il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi auspica che “il legislatore trovi un ragionevole equilibrio tra i diritti rimarcati dalla Cedu e le particolarissime caratteristiche delle associazioni mafiose”. “in ogni caso – aggiunge – qualsiasi decisione sulla concessione di tali benefici non potrà che essere presa dalla magistratura”. Esultano invece l’Unione delle Camere penali (“è stata scritta una pagina fondamentale”), Nessuno Tocchi Caino (“posta pietra miliare”) e Antigone. E il presidente emerito della Consulta Valerio Onida, che faceva parte del collegio di difesa di Viola, sottolinea : la norma “è incostituzionale”, ora deve “cadere”.