CASTELLAMMARE DI STABIA – Dall’usura al racket, dalle mire del clan sugli appalti pubblici ai prestiti a strozzo con tassi stellari. Dalle tangenti riscosse sulle transazioni immobiliari fino alla quota fissa del 5% che i boss imponevano su ogni singolo lavoro. Al centro decine di vittime. Imprenditori, commercianti, piccoli artigiani. Gente ridotta in miseria dalle continue richieste estorsive di una camorra insaziabile. Sono i contorni dell’inchiesta “Tsunami”, l’indagine che fa tremare i vicoli della malavita di Castellammare di Stabia. L’alba dell’ultimo maxi-processo a boss, esattori, presunti fiancheggiatori dell’organizzazione criminale fondata dal padrino defunto Michele D’Alessandro è arrivata. Trenta imputati in tutto. Tanti quanti i nomi messi in fila dal sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Giuseppe Cimmarotta. Il pm che indaga sugli affari di uno dei clan più ricchi e potenti della Campania, a giugno di quest’anno, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli indagati. Nei giorni scorsi il gup del tribunale di Napoli ha fissato l’udienza preliminare. A fine ottobre partirà ufficialmente il primo atto di un processo enorme. Un processo che racconta un pezzo di storia della camorra stabiese. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti ci sono sedici capi d’imputazione per episodi registrati nel triennio 2006- 2009. In quell’enorme faldone messo in piedi anche grazie al grande lavoro sul campo dei carabinieri di Castellammare di Stabia, c’è di tutto e di più.
Dal racket ai danni della ditta che gestiva le strisce blu alle tangenti incassate sui lavori privati. Poi ancora il pizzo imposto ai ristoranti, alle imprese edili, alle ditte di pulizia e persino all’azienda che doveva realizzare le nuove condotte del gas. Per i costruttori che eseguivano i lavori non c’era scampo. Se volevano stare tranquilli dovevano pagare – il teorema degli inquirenti – una tassa fissa del 5% su ogni appalto. Poi ancora i prestiti a tassi usurai che il clan D’Alessandro avrebbe acquisito dai creditori originari, arrivando a tormentare le vittime. Un’indagine che ricostruisce a 360 gradi gli affari dei boss di Scanzano. Arrivando a lambire anche temi delicati come il sistema di riciclaggio dei capitali illeciti, i rapporti con i colletti bianchi e l’assoluto dominio nel campo degli appalti. Lo dice anche il pentito Salvatore Belviso (c’è anche il suo nome nella lista dei 30 imputati per i quali è stato chiesto il processo). A Castellammare di Stabia il «90%» degli appalti vengono affidati a «costruttori individuati dal clan D’Alessandro», la rivelazione choc del collaboratore di giustizia ai pm dell’Antimafia. Al centro del processo ci sono personaggi di spicco di quella holding del crimine.
A cominciare da Vincenzo D’Alessandro, il boss oggi libero che in quegli anni – sostengono gli inquirenti – ha tessuto le trame degli affari illeciti della cosca rimasta orfana dei padrini finiti in carcere. Ma non è l’unico. Nell’elenco ci sono anche i nomi di Renato Cavaliere, il killer pentito del clan, e proprio di Salvatore Belviso. E ancora Pasquale D’Alessandro, il capoclan confinato al 41 bis nel super carcere di Sassari. Teresa Martone, la vedova del padrino Michele D’Alessandro, oggi ai domiciliari per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Attorno a loro un esercito di presunti affiliati o sodali (tutti liberi) che avrebbero fatto affari grazie al clan. O addirittura le “vedette” incaricate dai boss di segnalare la presenza di lavori in corso in città per riscuotere la tangente sull’appalto. Un’indagine passata sotto traccia – perché non sono mai state applicate misure cautelari – ma che racconta uno spaccato drammatico della città. E soprattuto offre il ritratto dell’enorme potere economico dell’organizzazione criminale guidata dai D’Alessandro. Un processo che per gli inquirenti potrebbe smantellare alcuni pilastri di quella cosca che per decenni ha condizionato la vita della città, arrivando a inquinare interi settori dell’economia “pulita” attraverso l’aiuto di insospettabili esponenti