“Secondo quanto diffuso da organi di stampa, sarebbero al vaglio del Governo iniziative di riforma dirette ad assicurare non solo un ‘diritto di tribuna’ ma un vero e proprio diritto di voto degli avvocati nelle valutazioni di professionalità dei magistrati. Magistratura Indipendente esprime, rispetto a tali annunciati propositi, la sua più ferma contrarietà”. Lo hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta Maria Grazia Avena e Paola D’Ovidio, rispettivamente presidente e segretario di Magistratura indipendente. “Occorre guardare con estrema cautela all’ampliamento delle fonti ‘esterne’ sulle valutazioni di professionalità dei magistrati al fine di evitare condizionamenti in grado di incidere sull’esercizio dell’attività giudiziaria – hanno aggiunto – Già nel sistema attuale, peraltro, sono possibili segnalazioni da parte degli altri attori della giurisdizione, tra cui gli organismi di rappresentanza degli avvocati e gli uffici giudiziari con cui il magistrato interagisce.
Ben altra cosa è, invece, prevedere che il magistrato debba essere sottoposto al parere di gradimento delle parti processuali”. “Sotto altro profilo – hanno proseguito -, l’estensione a soggetti estranei alla giurisdizione della facoltà di esprimere un voto sulla professionalità dei magistrati al momento dell’approvazione del parere da parte del consiglio giudiziario contrasta con l’assetto ordinamentale e con i documenti internazionali elaborati in materia”. “Non va dimenticato che i componenti laici dei consigli giudiziari, i quali sarebbero chiamati a votare sulle valutazioni di professionalità, sarebbero anche coloro che esercitano la professione legale nel distretto del magistrato sottoposto a valutazione, con evidente commistione dei rispettivi ruoli sul territorio e possibili riflessi sulla indipendenza della magistratura”, hanno spiegato Avena e D’Ovidio nella nota, aggiungendo: “Una eventualità non equiparabile a quella dei componenti laici del Csm, che votano sulle valutazioni di professionalità in commissione ed in plenum, i quali esercitano un ruolo istituzionale di rilevanza costituzionale, non riferibile a singole realtà locali, e, comunque, costoro non possono esercitare la professione legale durante il mandato”. “Il diritto di tribuna, che incide sulla pubblicità dei lavori consentendo al rappresentante dell’avvocatura di assistere alla seduta senza diritto di parola e tantomeno di voto, pur talvolta previsto nei regolamenti dei consigli giudiziari, non può trasformarsi, in una prospettiva di riforma legislativa, in un diritto di voto. Ciò rischierebbe, ben s’intende, di realizzare interferenze indebite sul sereno esercizio della giurisdizione”, hanno concluso.