di Rocco Traisci
Quando manca l’inganno, finisce il danno. Teatro della polemica l’Ariston, il più famoso in Italia (che già in Francia, a 150 chilometri da Sanremo, non se lo fila nessuno), dove finalmente, dopo anni di avvisaglie, sono volati gli stracci tra la famiglia e gli eredi Tenco e gli organizzatori del premio Tenco. Chi se ne frega, direte voi e lo direi anch’io. Il fatto serio è la collisione ideologica, “gener-azionale”, tra due meteoriti impazzite in pieno universo. L’universo musicale italiano, affastellato dalla riorganizzare del mercato discografico, è stato bersagliato da un’interessante polemica avvenuta nei giorni scorsi durante la 43° Rassegna della Canzone d’Autore, tuttora in corso al Teatro Ariston di Sanremo: il mini-festival ospita sul palco i vincitori delle varie categorie del premio Tenco 2019 più una serie di ospiti, Manuel Agnelli, Vinicio Capossela, Fulminacci, Daniele Silvestri, Sergio Cammariere, Ron, Levante, Nina Zilli, Gianna Nannini e Achille Lauro, che sul palco dell’Ariston ci è già salito l’anno scorso, destando qualche mal di pancia tipicamente sanremese sia per il look, sia per l’anticanzone della sua “hot”, Rolls Royce (13 milioni di visualizzazioni). Tutto normale, tranne la sigla della rassegna affidata proprio all’emergente trapper che canta “Lontano Lontano”, uno dei grandi classici di Luigi Tenco, il cantante genovese scomparso nel 1967. Botta e risposta con il “ripudio” (si fa per dire) degli eredi Tenco e lo stupore degli organizzatori della manifestazione, che – in sostanza – rispondono per le rime: il music business è il music business, bellezza! Fine. Fine un bel niente: in una lettera inviata dall’addetto stampa, Michele Piacentini, gli eredi Tenco chiedono di dissociarsi dall’organizzazione della kermesse. Ecco uno stralcio: “La distorsione della storia del ‘cantautorato’ diffusa addirittura da chi dovrebbe rappresentare il ‘Tenco 2019’ evidenzia interessi ben lontani da quelli perseguiti per decenni dal Premio Tenco. L’organizzazione degli eventi collaterali che nulla hanno a che fare con il mondo della canzone d’autore, ma che sfruttano il nome Tenco per dare risalto a momenti dedicati all’AperiTenco o alla “MovidaTenco, tende a trasformare l’importante significato del Premio Tenco in un banale circo-spettacolo”Il direttivo del Club Tenco ha risposto con un comunicato, altrettanto risentito: “Il dissenso della famiglia Tenco non poteva assolutamente incidere sulle scelte autonome del direttore artistico e dell’intero direttivo”Tre bestemmie tormentano i Tenco, insomma: AperiTenco, MovidaTenco e il nome di Achille Lauro. Spesso la stampa amica del cantautorato “vecchio, morto e sepolto di un tempo” si esibisce in clamorosi autogol, pensando di segnare nella porta giusta. De Andrè – già da vivo – è stato sempre tratteggiato come schivo e intellettualoide, atteggiamento molto in voga sul finire negli anni ’70. In realtà De Andrè era animato da uno spirto giullaresco e sfottente tutt’altro che intellettualoide, di movimento o peggio di tendenza. Idem Luigi Tenco: dopo la tragedia del suo suicidio in un albergo di Sanremo gli agiografi, pensando di fargli un piacere, ci hanno tramandato un personaggio cupo, depresso, malato, triste. Certo Tenco ci ha messo del suo con “Vedrai Vedrai”, la stessa “Lontano Lontano” “Mi sono innamorato di te”, “Angela” o “Un giorno di questi…”. Ma che c’entra? Tenco era prima di tutto un poeta. “Si sa”, detto alla Troisi, i poeti scrivono, si mettono in gioco, tentano di parlare linguaggi inesplorati. Non come li immagina Lello Arena: “Secondo te Dante non la conosceva veramente a Beatrice?”.I poeti sono “strani”, come Achille Lauro. E’ chiaro ed evidente che la scrittura delle canzoni è una disciplina maledettamente seria, altrimenti non si capisce bene perché assegnare addirittura un premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan: ma che c’entra la scrittura alta con un’esibizione live di puro showbiz? Se fosse stato un comico con la passione per le cover d’antan come Neri Marcorè, ad esempio, avremmo assistito a questa levata di scudi per la difesa della razza?Su Rockit si cita un bell’articolo di Giulia Cavaliere sul Tenco rivoluzionario per il tempo, con testi legati a temi complessi come il divorzio, la corruzione, la protesta giovanile, visti con gli occhi di chi ha vissuto un’era primordiale della canzone italiana. Ma allo stesso tempo – ci ricorda la Cavaliere – è stato autore di canzoni ironiche, sarcastiche, scomode, interpretate in modo teatrale, come “La ballata della moda” o “Un prete in automobile”, ma soprattutto “La ballata dell’arte”, che descrive il culto della personalità dell’artista che vive il suo tempo. Vogliamo dare la colpa ai millenials, ai trapper o agli influencer la decadenza di un linguaggio povero e infelice come il nostro? Oppure concedergli, per lo meno, la libertà di potercelo spiegare, raccontare e testimoniare? Insomma, il domandone finale da rivolgere agli eredi Tenco è d’obbligo: ma siete sicuri che il vostro Luigi avrebbe ripudiato uno che semplicemente scrive canzoni?