Beppe Grillo di anni ne ha 71. E a dirlo, noi napoletani facciamo quasi fatica a ricacciare indietro l’immediato, ma affettuoso per carità, accostamento alla smorfia. La riflessione seria, però, è un’altra: alla sua età si è vecchi? Personalmente mi augurerei di sì nella sciagurata ipotesi in cui dovessimo risvegliarci tutti nel mondo ideale dei Cinque Stelle dove i vecchi non potrebbero più entrare nella cabina elettorale. Almeno perderebbero un altro voto, oltre ai 5 milioni già bruciati con il primo dei due matrimoni d’interesse con la Lega. In realtà, penso che a 71 anni non si è vecchi. O meglio, non si è anziani, volendo restituire un senso alla lingua italiana, visto che vecchio è un aggettivo che s’addice alle cose. In verità non è detto che si è anziani nemmeno a 72 anni, o a 73, e nemmeno a 99. Semmai si è saggi. Questo sì. E di saggi, questo mondo ha bisogno come il pane. Certamente più dell’odio e più del populismo che inizia ad essere stantio. E forse anche più dei comici che hanno smesso di far ridere da un pezzo. E a proposito di saggi, chi ha letto almeno qualche passo del «Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini» di Jean Jacques Rousseau, che poi è considerato il manifesto della democrazia moderna, sa che «è contro la legge di natura che un bambino comandi a un vecchio, che un imbecille guidi un saggio, e che un pugno d’uomini rigurgiti di cose superflue, mentre la moltitudine affamata manca del necessario». Ora, chi è grillino per dogma può smettere di leggere e dedicarsi all’hobby del lancio del post contro i giornalisti, chi invece, pur sostenendo legittimamente un’idea politica, conserva autonomia di pensiero può riflettere su quanto stupido possa essere seguire una filosofia come fosse il Verbo.
L’idea malsana di Grillo, riportata qui in maniera pedissequa, nasce dal presupposto che una volta raggiunta una certa età, «i cittadini sono meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani», quindi «molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche». E allora, dice, «i loro voti dovrebbero essere eliminati, per garantire che il futuro sia modellato da coloro che hanno un reale interesse nel vedere realizzato il proprio disegno sociale». Come dire che a una certa età non importa più nulla del futuro di figli e nipoti, che agli anziani più disgraziati non resta che attendere la morte, che agli altri più fortunati, e Grillo potrebbe essere forse fra questi, godersi le ricchezze accumulate. Come se all’improvviso non valessero più nemmeno i principi del Contratto sociale idealizzato dal filosofo scippatoci dai Casaleggio che garantisce la costituzione di uno Stato democratico e assicura la libertà individuale. Certo, come dice lo stesso Grillo, è sacrosanto coinvolgere i sedicenni nelle scelte future del Paese, anche se questo presupporrebbe una rivoluzione nel loro processo formativo, ma pensare di poter togliere il voto agli anziani, o sostenerlo per provocazione, ben sapendo che siamo nell’era in cui ogni starnuto social diventa ideologia, significa fare un balzo in avanti verso un Paese orrendo e sempre più arido. Significa svuotare l’uomo di un bene prezioso e insostituibile come la memoria, disconoscere l’importanza dei saggi nella conservazione di principi fondamentali quali tolleranza, amore e carità. Principi che stiamo distruggendo con la filosofia del contro e dell’odio.
Forse, più che agli anziani, che spesso sono costretti a sostenere economicamente le generazioni successive, verrebbe da dire che è più giusto togliere il diritto al voto ai mafiosi, ai corrotti, e forse ai politicanti, perché quelli sì che non se ne fregano del futuro. Ma anche questo sarebbe un ragionamento populista, un’offesa a chi ha versato sangue per il suffragio universale. E allora, caro Grillo, restiamo legati alle vecchie convinzioni: «Gli anziani si devono onorare, i giovani educare, i saggi interrogare e i pazzi tollerare».