NAPOLI – Pagavano il “pizzo” alla camorra e negavano di averlo fatto i negozianti di uno dei tre decumani di Napoli, quello più famoso, nel 1995 dichiarato patrimonio dell’umanità, che oggi coincide con via dei Tribunali. Lì, nella Napoli greca, il clan Sibillo, o almeno quello che ne restava, incuteva ancora timore e rimpinguava le sue casse con lo spaccio della droga ma soprattutto taglieggiando il commercio alimentato da un fiorente turismo. Tra i negozi finiti sotto il giogo della camorra anche storiche pizzerie come “Di Matteo”, “IlPresidente” e “Sofia”, il noto “Bar Max” e la salumeria e macelleria “Sole”. Tutti costretti a pagare per timore di ritorsioni, come accaduto a Di Matteo che lo scorso febbraio si è vista sparare colpi di pistola contro le saracinesche per un disguido sulle somme da versare. Stamattina, con un blitz, i carabinieri hanno notificato 22misure cautelari emesse dal gip di Napoli Tommaso Perrella su richiesta della DDA partenopea. Tra i destinatari dei provvedimenti (16 arresti in carcere, 3 ai domiciliari e 3 divieti di dimora nella provincia di Napoli) i due reggenti Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo, cugini del baby boss della”paranza dei bambini” Pasquale Sibillo (tutti già in carcere) e anche la moglie di quest’ultimo, Vincenza Carrese, 26 anni, alias “Nancy”, che occupava una posizione apicale e per la quale le porte del carcere si sono aperte oggi. Era lei a portare le cosiddette “imbasciate” (messaggi, ndr) del marito ed era lei a tenere sotto controllo la cassa, conteggiando le “entrate” e le “uscite”. Ma Nancy riscuoteva anche il “pizzo”, come quando ha convocato a casa della famiglia Napolitano (tenuta sotto controllo dai carabinieri) i titolari della pizzeria “Il Presidente” per intascare il denaro settimanalmente. Tra l’estate 2016 e aprile 2017 avrebbero versato ai Sibillo 1900 euro. Le date dei “prelievi” erano quelle canoniche: Ferragosto, Natale e Pasqua, e le somme erano destinate, riferivano gli estorsori, “ai carcerati”. E se qualcuno ampliava i margini di guadagno, anche lontano da via dei Tribunali, doveva pagare di piu’. In una intercettazione la circostanza emerge chiaramente. Risale all’aprile 2017 e a parlare sono Giovanni Matteo e Giovanni Ingenito (entrambi sottoposti a fermo di pm lo scorso marzo, ndr): Ingenito: “…se la capretta (così gli indagati chiamano il titolare della pizzeria “Il Presidente”, ndr) dà altri 500 euro arriviamo a 1000 euro”; Matteo: “…almeno altri 1000 euro li deve dare, visto che si è aperto la pizzeria a Capri e sta facendo soldi a tonnellate”. Dalla stessa intercettazione, interviene anche Nancy, si evince l’esistenza di due liste, una sottoscritta dal baby boss e l’altra nelle mani del padre Vincenzo, su cui sono annotate cifre, nomi e periodi in cui i negozianti avrebbero dovuto versare il “pizzo”. Le vittime hanno perlopiù negato di essere taglieggiati (anche questo emerge dalle intercettazioni, ndr) e solo in un secondo momento hanno ammesso di avere pagato per timore di ritorsioni.
CRONACA
6 novembre 2019
“Pizzo” e droga nella Napoli greca, 22 misure cautelari