TORRE ANNUNZIATA – C’è un filo che lega la città di Torre Annunziata a quella di Mazara del Vallo. Un filo che annoda in un’unica matassa gli affari illeciti del traffico internazionale di stupefacenti. Fiumi di cocaina gestiti da due narcos. Il primo si chiama Francesco Tamarisco, esponente di punta della dinastia criminale con base nel rione Poverelli. Il secondo è Paolo Lumia, il numero uno dei narcotrafficanti, uno dei principali intermediari tra i cartelli sudamericani della droga. Un ras talmente potente da essere considerato vicino al capo dei capi di Cosa Nostra, Mattia Messina Denaro. Lo stretto legame tra Lumia e Tamarisco emerge da uno degli ultimi racconti del pentito Alessandro Montella. E’ lui a svelare il retroscena inquietante che spunta fuori durante l’interrogatorio del pubblico ministero Pierpaolo Filippelli nel corso dell’udienza del processo per l’omicidio di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio di Torre Annunziata uccisa nel 2004. Tamarisco aveva puntato in alto. Lumia era l’uomo che gli garantiva i rapporti con i siciliani che gli consentiva di poter utilizzare il canale di trasporto dello stupefacente anche a Palermo e Trapani.
I carichi di cocaina che arrivavano dalla Colombia e dalla Spagna venivano poi smistati anche grazie ai rapporti che Tamarisco era riuscito a costruire. Ma poi qualcosa cambia. «Signor magistrato i Tamarisco avevano rapporti con i siciliani». Il pentito diventa poi un fiume in piena ed entra nei dettagli. «Francesco aveva a che fare con un certo Paolo Lumia. Stava a Barcellona, era uno che faceva affari importanti e si incontrava spesso con Tamarisco in un ristorante della città. Ricordo che quando Torre Annunziata fu divorata dallo scandalo persino a Barcellona arrivò la notizia della morte di Matilde Sorrentino. I siciliani pretesero di sapere tutto quello che stava accadendo». Montella racconta nei minimi dettagli uno degli incontri. Era passato un mese circa dal delitto di mamma Matilde e il narcos si trovava a Barcellona. Era in compagnia di un altro trafficante con il quale i Tamarisco facevano affari, Gennaro Di Capua che fu poi ucciso. I due, assieme ad altri, erano lì per trasportare carichi di cocaina. Lumia, vista la presenza dei torresi, decide così di chiedere chiarimenti. «Sapeva che a Torre Annunziata era stata uccisa una donna, ed era stata uccisa perché aveva denunciato i pedofili del figlio – spiega Montella – un fatto schifoso, veramente schifoso. Lumia sapeva che il mandante era stato Francesco Tamarisco e questa cosa lo aveva scosso, ci era rimasto male e Nardiello aveva perso credibilità. Non si poteva uccidere una donna che aveva denunciato i pedofili di suo figlio». Il delitto di Matilde fece così vacillare i rapporti d’affari tra i Tamarisco e i siciliani.
Matilde era diventata il simbolo del coraggio e non solo per la città ma anche negli ambienti della malavita. Per una volta, il volto di quella donna era riuscito a superare le barriere, i chilometri e arrivare fino a Barcellona. Lumia, il narcotrafficante numero uno, aveva deciso, in nome di quella donna, di interrompere così il rapporto di scambio. I siciliani non potevano avere a che fare con un uomo che aveva ordinato la morte di una donna la cui unica colpa era stata denunciare gli orchi che avevano abusato del suo piccolo e di altri bambini. Ragazzini drogati, stuprati, violentati della loro innocenza. Uomini a cui quei bidelli hanno tolto il sorriso per sempre. Un principio che era venuto a mancare, un codice d’onore non rispettato per il quale anche i due capoclan, Valentino Gionta e Pasquale Gallo decisero poi di intervenire sentenziando la condanna morte sia dei pedofili che del presunto mandante. Ma la condanna a morte per Francesco Tamarisco non è mai stata eseguita.