Pasionaria della musica d’autore, Micaela Tempesta, folksinger napoletana con un lungo pedigree nei club underground, sta facendo parlare di se per la lunga sequela di premi e di nomination ottenuti nell’ultimo semestre in giro per l’Italia. La scorsa estate è uscito il suo primo album “Blu” prodotto insieme a Massimo De Vita (Blindur) e Paolo Alberta (produttore indipendente e storico fonico dei Negrita), missato da Andrea Suriani (Cosmo, Coez, Calcutta e tanti altri). Dieci tracce tra r’n’b , hip hop, soul , elettronica che contaminano il cantautorato italiano . E’ finalista del concorso Musica contro le Mafie sia nel 2018, sia nella recente edizione 2019, premio Bindi 2019, terzo posto al Premio dei Premi 2019 organizzato dal MEI e semifinalista al Premio De André 2019: “Mio padre voleva un maschietto ma ahimè sono nata io. Questo per dirti che la prima cosa che ho imparato a fare è tirare calci ad un pallone. Agli inizi degli anni ’80 se eri una femminuccia e giocavi a pallone potevi anche essere un alieno venuto sulla terra per distruggerla (tipo Visitors). Agli inizi dei ’90 se capivi la regola del fuorigioco e non avevi il pisello potevi essere messa al rogo. Oggi per fortuna è leggermente diverso anche se ‘le donne non capiscono di pallone quanto gli uomini’ pare sia una regola non scritta dalla nostra società misogina. Il mio rapporto con il Napoli è semplice: solo la maglia, sempre a testa alta al di là del risultato (ma non sono un ultrà anzi). La prima volta che mio zio mi ha portato allo stadio ero così piccola che in un derby con l’Avellino continuavo ad urlare ‘Forza Italia!’. Poi ho vissuto le gesta di Maradona, per me come un musicista, un musicista incredibile. Forse il calcio non ha più nulla dello sport ma ammetto con serenità di aver bisogno dei miei 90 minuti di mediocrità settimanali (180 se ci sono le coppe) nonostante calciopoli, gli arbitri e quella squadra di brutti dove si va solo ed esclusivamente per denaro. Il calcio però è anche trasversale, una delle poche cose che ci lega veramente. Non importa da dove vieni, che mestiere fai, quanti soldi hai. In quei novanta minuti siamo tutti uguali. Forse questa è l’unica cosa che si salva ancora del calcio moderno”.
Micaela è autodidatta , suona ad orecchio vari strumenti tra cui chitarra, pianoforte e basso e , ultimamente, strumenti meno “tradizionali” come plug-in su laptop , campionatori e synth. I primi passi “seri” verso la musica li muove grazie alla frequentazione di uno studio di registrazione napoletano che si occupava principalmente di produrre musica dance e remix. Presta così la voce e il suo songwriting a numerosi progetti dance licenziati principalmente all’estero. Dopo qualche tempo abbandona la lingua inglese in fase di scrittura e comincia a scrivere in italiano prestando una certa attenzione, oltre che ai contenuti, al suono della parole. L’esperienza fatta nella dance music, ha influenzato molto il modo di scrivere, che non è il classico cantautorato italiano, con un sound che in parte viene da fuori i confini italiani e in parte sicuramente dalle radici partenopee. Ha aperto in concerti napoletani di di Kaki King, Niccolò Agliardi, Pier Cortese, Z-Star, Erica Mou. In parallelo alla musica , per un periodo si è dedicata al giornalismo collaborando con testate locali (on-line e cartacee) e coordinando una redazione di giovani giornalisti. Si è occupata , in veste di direttore artistico di un locale della sua città, di creare “viva (io) partenope (o) “ una rassegna che ha visto la partecipazione di alcuni dei migliori talenti nati a Napoli e in Campania.