Tutti noi, oggi più che mai, abbiamo il dovere di ricordare affinché la storia non si ripeta. Abbiamo assoluto bisogno di leggere e capire cosa avvenne in quegli anni orribili che segnarono la prima metà del Novecento. Abbiamo il dovere di non considerare gli anni del nazismo e del fascismo un’epoca storica ormai lontana e irripetibile, pensarla così sarebbe un errore gravissimo. In questo numero di Metropolis Young, il larga parte incentrato sull’Olocausto, abbiamo scelto di ricordare una storia tra le tante, quella di Sergio, un bimbo napoletano morto in quell’inferno.
«Il fascismo deve essere valutato per quello che ha fatto; e quello che ha fatto è stato macchiare la nostra memoria con il sangue». Le parole di Mario De Simone sono durissime e sintetizzano il suo immenso dolore. Mario è il fratello di Sergio, una delle tante piccole vittime dei campi di concentramento. Nel 1944, Sergio aveva solo 7 anni. Sua madre, Gisella Perlow, era di origine ebraica, suo padre un sottufficiale della Marina. Si erano rifugiati a Napoli negli anni in cui l’Europa intera era devastata dalle bombe, quella maledetta mattina del 21 marzo Sergio fu caricato su uno di quei vagoni dentro i quali si faceva solo un viaggio d’andata. Fu deportato insieme a 11 componenti della sua famiglia, e finì ad Auschwitz. Un terribile destino l’attendeva: con altri 19 bambini fu scelto per alcuni esperimenti voluti dal dottor Mengele, il “dottor Morte”, e subì torture atroci. Lui e le sue due cugine Andra e Tatiana Bucci vennero scambiati per gemelli, così risultarono subito idonei ad essere cavie umane per le ricerche di eugenetica richieste da Hitler per la creazione di una razza perfetta.
Sergio fu scelto dal dottor Heissmeyer e fu deportato nel campo di Neuengamme, presso Amburgo. Qui gli fu inoculato il batterio della tubercolosi nelle ghiandole linfatiche con l’obiettivo, scientificamente infondato, di generare focolai di infezione per ottenere difese immunitarie utili a un vaccino. Gli esperimenti fallirono e verso la fine della guerra arrivò da Berlino l’ordine di distruggere le prove di quei test infernali. I bimbi furono trasferiti in una scuola di Amburgo, vennero sedati, impiccati e bruciati. I documenti furono interrati nel cortile della scuola e solo grazie al giornalista Gunter Schwarberg tornarono alla luce molti anni dopo. Per molti anni la madre di Sergio non ha conosciuto la sorte di suo figlio, anche dopo essere tornata dal campo di Auschwitz. Dopo il rientro e il ricongiungimento al marito Edoardo, nacque Mario. Per anni la famiglia ha ricercato invano notizie di Sergio, ma solo nel 1987, Gisella fu invitata tramite lettera ad Amburgo per la comunicazione di notizie certe sulla morte del suo bambino. Tornata in Italia, si abbandonò totalmente al dolore fino a morirne. Per ricordare Sergio De Simone, nel 1997, gli alunni dell’Istituto comprensivo D’Angiò di Trecase hanno voluto intitolargli la villa comunale. Qui, nei giorni scorsi, abbiamo incontratro la giornalista Titti Marrone, autrice del libro “Meglio non sapere” che parla appunto di Sergio. «Mario mi ha affidato il compito di raccontare suo fratello. Lui per anni è stato tenuto all’oscuro di tutto», dice l’autrice. Ora, invece, anche lui è convinto che raccontare è fondamentale per evitare l’oblio. «Bisogna ricordare costantemente perché l’indifferenza è il cancro dell’umanità», dice Marrone. «Tutti sono interessati solo ed esclusivamente a se stessi e vedono le tragedie altrui con indifferenza e persino a volte disprezzo». E questo, inconsapevolmente, crea terreno fertile anche per il negazionismo. «Però bisogna eliminare la retorica, raccontare queste storie. La storia spesso non ci insegna nulla e l’uomo resta sempre lo stesso, e per questo è destinato a cadere nei medesimi sbagli». Non a caso, le atrocità contro le minoranze sono ancora attuali. In Cina, per esempio. «L’umanità una bella parola ma pochi ne conoscono il significato. Purtroppo resistono due flagelli: l’ignoranza e l’indifferenza».