Adesso è molto meno misterioso e per questo fa meno paura il coronavirus SarsCoV2 che venerdì 21 febbraio è venuto allo scoperto in Italia, con il primo caso di trasmissione registrato nel nostro Paese. Allora era un virus sconosciuto nato nel mercato di animali di Wuhan, la città cinese epicentro dell’epidemia; adesso l’incertezza si è ridotta e sappiamo qualcosa di più sul modo migliore per affrontare una situazione sempre complessa, ma con molte meno incognite. Sappiamo, per esempio, che il nuovo coronavirus circolava silenziosamente in Italia già due settimane prima di uscire allo scoperto e che il numero di casi registrato finora si deve proprio a questa situazione.
“L’impennata dei casi in Italia si può vedere come il venire al pettine di una serie di pazienti infettati a suo tempo”, ha detto l’infettivologo Massimo Galli, dell’Università di Milano e primario dell’ospedale Sacco. “Da un lato – ha proseguito – è stata rilevata un’intera coorte di individui infettati, contemporaneamente o in fasi successive, con manifestazioni cliniche importanti e che hanno richiesto un ricovero; dall’altro è stata identificata una vasta quantità di persone che altro non erano che i contatti di persone già malate e con sintomi lievi”.
Per Galli “non c’è stato un incremento di casi dovuto a infezioni recenti: siamo in una situazione in cui si sta registrando quanto che è avvenuto alcune settimane prima che venisse identificato il primo caso”, ossia il cosiddetto paziente 1. “Oggi ho meno paura di quanta ne avessi ieri: a mano a mano che impariamo, acquisiamo informazioni importanti su come gestire un’emergenza che in un primo momento sembrava prendere il sopravvento”, ha osservato Gloria Taliani, del dipartimento di Medicina Traslazionale di di precisione dell’Università Sapienza di Roma.
“Abbiamo capito – ha proseguito – che il virus ha la sua quota di decessi in quanto aggrava le condizioni generali di persone anziane o indebolite da malattie preesistenti. Abbiamo visto che i giovani vengono generalmente risparmiati dal punto di vista clinico e che esiste una parte significativa di persone che pur avendo l’infezione non hanno sintomi”. Tutto questo, ha rilevato, porta a considerare che il nuovo coronavirus “provoca forse una forma grave di influenza”. Senza dubbio, però, “stiamo fronteggiando un virus nuovo e dunque è più che doveroso avere un margine di attenzione in più”, ha aggiunto l’esperta.
Quello che comunque si può affermare senza dubbio è che “dall’infezione ci si può difendere con l’igiene accurata delle mani e delle superfici”, che “l’infezione non significa malattia” e che “non tutti quelli che si infettano si ammalano”. E’ anche vero, però, che “non tutti quelli che vanno in giro sono senza infezione”. Sappiamo infine che “la malattia ha uno spettro chiaro e che si deve tenere viva l’attenzione senza allarmismi, considerando che debba esserci un “livello di attenzione adeguato che riguarda i malati gravi e le persone più fragili”.