La giustizia potrebbe fermarsi per il coronavirus fino al 30 giugno. E sarebbe la misura a più lungo termine decisa finora dal governo. E’ l’ipotesi su cui sta lavorando il ministro Alfonso Bonafede nel decreto sul tavolo del Consiglio dei ministri in serata, che imporrebbe una serie di restrizioni a tribunali e procure in tutt’Italia. Stando alla bozza del provvedimento, slittano a luglio le udienze civili e penali tranne una lista di eccezioni. ‘Salvi’ in particolare i procedimenti urgenti, le udienze su misure cautelari, quelle di convalida di arresti o fermi nei procedimenti che riguardano detenuti e imputati minorenni, le convalide di espulsioni dei migranti. Idem per le cause di competenza del tribunale dei minori, quelle sugli alimenti e le misure di protezione contro gli abusi familiari.
Inoltre, potrebbero celebrarsi a porte chiuse i processi che normalmente sono pubblici. Cambia poco, invece, la vita per i detenuti all’epoca del coronavirus: nella bozza, nessun riferimento a eventuali limiti a colloqui con i familiari in carcere né ai trasferimenti per visite mediche esterne, come ha reclamato l’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria. Tanto meno su mascherine, guanti monouso e disinfettanti nei penitenziari. Unica novità messa per iscritto è sulle udienze in videoconferenza, non più in aula, per chi sta in carcere o in custodia cautelare. Al di là dei dettagli, il decreto metterebbe ordine nell’attività giudiziaria, andata avanti in ordine sparso nelle ultime ore. Da Firenze a Sassari fino a Genova, rinvii e sospensioni si sono alternati con modalità e deadline diverse.
Nel caos è finito anche il processo ‘Ruby ter’ a Milano contro Silvio Berlusconi e altri 28 imputati: l’udienza, prevista lunedì, slitta ‘sine die’. Allo stesso tempo il provvedimento accoglie in parte l’sos lanciato da avvocati, magistrati, operatori della giustizia per chiedere interventi concreti e uniformi al Guardasigilli. Compreso il Csm che aveva sollecitato il rinvio dei processi civili e penali e la sospensione dei termini per i tribunali in zone “a rischio”.
Non a caso gli avvocati sono in sciopero da oggi per protestare contro l’inadeguatezza delle misure adottate finora. “Com’è possibile mantenere la distanza di un metro in quei gironi danteschi che sono certi tribunali italiani? – chiede Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Organismo congressuale forense, che ha proclamato lo sciopero – Quindi l’astensione è tutela della propria incolumità e sicurezza”. Insomma la giustizia prova a blindarsi, allineandosi ai limiti già imposti da Palazzo Chigi alle altre attività pubbliche, e parlando finalmente all’unisono.
Del resto anche negli uffici e nelle aule di giustizia vanno evitati assembramenti e contatti ravvicinati. Da qui la richiesta di provvedimenti: “Se avete deciso di chiudere le scuole di tutta Italia, dovete spiegarci perché non chiudere i tribunali, salvi i processi urgenti e indifferibili?”, hanno scritto i penalisti in una lettera pubblica al ministro. Il decreto dovrebbe limitare al massimo la presenza umana nelle cittadelle giudiziarie o agli sportelli, chiedendo ad esempio di ricorrere alla tecnologia per garantire il contraddittorio nelle udienze a cui partecipano solo gli avvocati. O di scambiarsi note scritte e mandarle via mail nei casi di richieste istruttorie. In standby potrebbe finire anche la prescrizione nei procedimenti penali, sospesa per i giorni in cui il processo è rinviato.