La giustizia si ferma per il coronavirus fino al 31 maggio. Uno stop di due mesi e mezzo, il più lungo deciso finora dal governo. A mettere il sigillo è il decreto del ministro Alfonso Bonafede, che si sta definendo a Palazzo Chigi e che impone restrizioni a tribunali e procure in tutt’Italia. La sospensione può essere decisa dal capo dell’ufficio giudiziario e scatta – si legge nel testo – in caso di “emergenze epidemiologiche certificate”. Slitterebbero così a giugno le udienze civili e penali, tranne alcune eccezioni.
‘Salvi’ in particolare i procedimenti urgenti, le udienze su misure cautelari, quelle sulla convalida di arresti o fermi nei procedimenti che riguardano detenuti e imputati minorenni, le convalide di espulsioni dei migranti. Non si fermano nemmeno le cause di competenza del tribunale dei minori, le udienze sulla possibilità di adottare bambini o quelle riguardanti minori stranieri non accompagnati o bambini allontanati dalle famiglie. Inoltre, saranno celebrati a porte chiuse i processi normalmente pubblici.
Cambierebbe poco, invece, la vita per i detenuti all’epoca del coronavirus: nella bozza iniziale, nessun riferimento a eventuali limiti a colloqui con i familiari in carcere né ai trasferimenti per visite mediche esterne, come ha reclamato l’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria. Tanto meno su mascherine, guanti monouso e disinfettanti nei penitenziari. Unica novità messa per iscritto è sulle udienze in videoconferenza, non più in aula, per chi sta in carcere o in custodia cautelare. Il decreto è sul tavolo del Consiglio dei ministri, iniziato quattro ore dopo il previsto e andato avanti nella notte nel tentativo di accorparlo al provvedimento sulla sanità.
Al di là dei dettagli, metterebbe ordine nell’attività giudiziaria, andata avanti in ordine sparso nelle ultime ore. Da Firenze a Sassari fino a Genova, rinvii e sospensioni si sono alternati con modalità e deadline diverse. Nel caos è finito pure il processo ‘Ruby ter’ a Milano contro Silvio Berlusconi e altri 28 imputati: l’udienza, prevista lunedì, slitta ‘sine die’. Il provvedimento accoglie in parte l’sos lanciato da avvocati, magistrati, operatori della giustizia per chiedere interventi concreti e uniformi al Guardasigilli.
Compreso il Csm che aveva sollecitato il rinvio dei processi civili e penali e la sospensione dei termini per i tribunali in zone “a rischio”. Non a caso gli avvocati sono in sciopero da oggi per protestare contro l’inadeguatezza delle misure adottate finora. “Com’è possibile mantenere la distanza di un metro in quei gironi danteschi che sono certi tribunali italiani? – chiede Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Organismo congressuale forense, che ha proclamato lo sciopero – Quindi l’astensione è tutela della propria incolumità e sicurezza”. Insomma la giustizia prova a blindarsi, allineandosi ai limiti già imposti da Palazzo Chigi alle altre attività pubbliche. Del resto anche negli uffici e nelle aule di giustizia vanno evitati assembramenti e contatti ravvicinati.
Da qui la richiesta di azioni chiare e urgenti: “Se avete deciso di chiudere le scuole di tutta Italia, perché non chiudere i tribunali, salvi i processi urgenti e indifferibili?”, si legge nella lettera pubblica dei penalisti a Bonafede. Il decreto limiterebbe al massimo la presenza umana nelle cittadelle giudiziarie o agli sportelli, chiedendo ad esempio di ricorrere alla tecnologia per garantire il contraddittorio nelle udienze a cui partecipano solo gli avvocati. O di scambiarsi note scritte e mandarle via mail nei casi di richieste istruttorie. In standby potrebbe finire anche la prescrizione nei procedimenti penali, sospesa per i giorni in cui il processo è rinviato.