Claudio Galizia, 35enne di Gragnano, anestesista rianimatore, lavora all’azienda ospedaliera Cto.
«Attualmente abbiamo 7 ricoveri in terapia intensiva (il dato è di ieri pomeriggio ndr). Quello che si sta facendo dal punto di vista organizzativo è trasferire tutti i pazienti infetti non da coronavirus ma da altre patologie già stabilizzati. Patologie intese come meningiti, infezioni da Hiv e quindi immunodepressi, in altri ospedali, verso il Monaldi e il Cto in modo da lasciare posti liberi per la terapia ventilatoria soprattutto al Cotugno. E a saturazione dei posti al Cotugno, entrerà in gioco il Monaldi, che è anche centro di cardiochirurgia ad alta specializzazione. Anche al Cto è tutto attrezzato: c’è un posto per l’isolamento in rianimazione per i pazienti sospetti di Coronavirus e al pronto soccorso due postazioni di isolamento per tutti i casi sospetti che non necessitano di terapia intensiva, ma che devono attendere in quarantena l’esito del tampone».
Qual è la prassi che si sta seguendo riguardo ai tamponi?
«Il tampone è una cosa particolare, perché non ne basta uno soprattutto quando il soggetto è asintomatico o comunque ha dei sintomi lievi. Anche se risulta negativo, se ne deve ripetere un altro a 24 ore perché è stato provato, e la Cina ne ha dato conferma, che il tampone si può positivizzare anche dopo. Quindi ci sono tempi di quarantena anche a tampone negativo abbastanza lunghi».
Esiste anche in Campania il rischio che i posti nei reparti di terapia intensiva siano insufficienti?
«Questo problema attualmente non c’è. Al contrario di quanto è accaduto, ad esempio, al Niguarda in Lombardia: i colleghi mi scrivono quotidianamente e mi dicono che sono al collasso, non ci sono più ventilatori né disponibilità di reparti che erano stati già convertiti a quasi sub-terapie intensive. Nonostante tutti questi sforzi, anche con l’installazione di tende, sono al limite. Ripeto, in Campania non siamo ancora in allarme, ma i casi sono in crescita. Questo non ci deve far stare tranquilli, dobbiamo essere super organizzati. Tant’è che si sta pensando anche di sospendere gli interventi programmati e lasciare libere le sale operatorie, che sono dotate di ventilatori, di respiratori, così che possano essere usate per l’emergenza del Covid-19».
Ad oggi quindi la situazione in Campania non è ancora di emergenza acuta?
«Ad oggi possiamo dire che la situazione è stabile. Quello che sta succedendo al Nord è la mancanza di presidi nelle terapie intensive, sia in termini di posti letto sia per i ventilatori disponibili. Questo comporta una sorta di selezione. Nel senso che ci deve essere una priorità di terapie intensive per tutti quei malati gravi o gravissimi che ne necessitano. Quindi se un ammalato necessita di 10 giorni in terapia intensiva, si cerca di accelerare il processo in modo da riportarlo in reparto e liberare una postazione, questo è il criterio. Oppure, al di la’ del processo dell’intubazione e poi del collegamento alla macchina della ventilazione, ci sono altri presidi che, si è visto, risultano inefficaci in parte o totalmente nelle polmoniti severe, però ci fanno prendere tempo.
Si tratta di maschere o caschi che non necessitano di intubazione, con ventilazione non invasiva, e ci danno in alcuni soggetti la possibilità di aspettare, così da non farli aggravare, per il tempo necessario che si liberino i posti. Quanto alla scelta, è chiaro che il medico deve fare una valutazione, in scienza e coscienza: di fronte a un signore anziano di 90 anni che ha già un destino verso la fine con patologie importanti, e un giovane (perché il virus colpisce anche i giovani!) 40enne iperteso, è chiaro che le priorità e le energie devono essere rivolte al giovane. Non significa abbandonare gli anziani: si cercherà di sostenerlo e accompagnarlo verso il destino, ma comunque dandogli cure. Sia chiaro: in Campania questa situazione di scelta non si sta verificando ancora, e non voglio fare previsioni, non so come andrà a finire, però va messo in conto. Soprattutto noi del settore che potremmo trovarci davanti a una scelta anche difficile in questo senso».
Quale appello si sente di fare alla gente comune che in buona parte si divide tra catastrofisti e menefreghisti?
«Purtroppo se ne parla tanto. Entrambi agiscono per un buon fine, perché si ha paura e soprattutto il napoletano magari tenta di esorcizzare, però è un atteggiamento sbagliato. Questo virus non è come l’influenza, come qualcuno dice, questo va assolutamente sottolineato, perché ha una elevata contagiosità, quindi il primo parametro che è diverso dall’influenza e un tasso di mortalità – di cui non abbiamo ancora i numeri definitivi – ma è sicuramente più alto di quello della normale influenza. Il catastrofismo agisce a fin di bene, perché cerca di rendere cosciente la persona che deve seguire delle misure igienico- comportamentali e non deve fregarsene, ma il lato negativo è che può generare panico e il panico crea disorganizzazione. L’unico messaggio importante è quello che si dice, ma deve essere attuato: la quarantena, stare a casa, evitare i contatti anche tra i familiari, come baci abbracci e strette di mano. Gli anziani sono spaventati e per questo mi rivolgo ai giovani, i quali possono essere portatori sani: devono avere, quindi, coscienza e responsabilità in questo momento».