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Rianimatore del Cto «Nelle cure la priorità va ai pazienti più giovani»
CRONACA
10 marzo 2020
Rianimatore del Cto «Nelle cure la priorità va ai pazienti più giovani»

Claudio Galizia, 35enne di Gragnano, anestesista rianimatore, lavora all’azienda ospedaliera Cto.

«Attualmente abbiamo 7 ricoveri in terapia intensiva (il dato è di ieri pomeriggio ndr). Quello che si sta facendo dal punto di vista organizzativo è trasferire tutti i pazienti infetti non da coronavirus ma da altre patologie già stabilizzati. Patologie intese come meningiti, infezioni da Hiv e quindi immunodepressi, in altri ospedali, verso il Monaldi e il Cto in modo da lasciare posti liberi per la terapia ventilatoria soprattutto al Cotugno. E a saturazione dei posti al Cotugno, entrerà in gioco il Monaldi, che è anche centro di cardiochirurgia ad alta specializzazione. Anche al Cto è tutto attrezzato: c’è un posto per l’isolamento in rianimazione per i pazienti sospetti di Coronavirus e al pronto soccorso due postazioni di isolamento per tutti i casi sospetti che non necessitano di terapia intensiva, ma che devono attendere in quarantena l’esito del tampone».

Qual è la prassi che si sta seguendo riguardo ai tamponi?

«Il tampone è una cosa particolare, perché non ne basta uno soprattutto quando il soggetto è asintomatico o comunque ha dei sintomi lievi. Anche se risulta negativo, se ne deve ripetere un altro a 24 ore perché è stato provato, e la Cina ne ha dato conferma, che il tampone si può positivizzare anche dopo. Quindi ci sono tempi di quarantena anche a tampone negativo abbastanza lunghi».

Esiste anche in Campania il rischio che i posti nei reparti di terapia intensiva siano insufficienti?

«Questo problema attualmente non c’è. Al contrario di quanto è accaduto, ad esempio, al Niguarda in Lombardia: i colleghi mi scrivono quotidianamente e mi dicono che sono al collasso, non ci sono più ventilatori né disponibilità di reparti che erano stati già convertiti a quasi sub-terapie intensive. Nonostante tutti questi sforzi, anche con l’installazione di tende, sono al limite. Ripeto, in Campania non siamo ancora in allarme, ma i casi sono in crescita. Questo non ci deve far stare tranquilli, dobbiamo essere super organizzati. Tant’è che si sta pensando anche di sospendere gli interventi programmati e lasciare libere le sale operatorie, che sono dotate di ventilatori, di respiratori, così che possano essere usate per l’emergenza del Covid-19».

Ad oggi quindi la situazione in Campania non è ancora di emergenza acuta?

«Ad oggi possiamo dire che la situazione è stabile. Quello che sta succedendo al Nord è la mancanza di presidi nelle terapie intensive, sia in termini di posti letto sia per i ventilatori disponibili. Questo comporta una sorta di selezione. Nel senso che ci deve essere una priorità di terapie intensive per tutti quei malati gravi o gravissimi che ne necessitano. Quindi se un ammalato necessita di 10 giorni in terapia intensiva, si cerca di accelerare il processo in modo da riportarlo in reparto e liberare una postazione, questo è il criterio. Oppure, al di la’ del processo dell’intubazione e poi del collegamento alla macchina della ventilazione, ci sono altri presidi che, si è visto, risultano inefficaci in parte o totalmente nelle polmoniti severe, però ci fanno prendere tempo.

Si tratta di maschere o caschi che non necessitano di intubazione, con ventilazione non invasiva, e ci danno in alcuni soggetti la possibilità di aspettare, così da non farli aggravare, per il tempo necessario che si liberino i posti. Quanto alla scelta, è chiaro che il medico deve fare una valutazione, in scienza e coscienza: di fronte a un signore anziano di 90 anni che ha già un destino verso la fine con patologie importanti, e un giovane (perché il virus colpisce anche i giovani!) 40enne iperteso, è chiaro che le priorità e le energie devono essere rivolte al giovane. Non significa abbandonare gli anziani: si cercherà di sostenerlo e accompagnarlo verso il destino, ma comunque dandogli cure. Sia chiaro: in Campania questa situazione di scelta non si sta verificando ancora, e non voglio fare previsioni, non so come andrà a finire, però va messo in conto. Soprattutto noi del settore che potremmo trovarci davanti a una scelta anche difficile in questo senso».

Quale appello si sente di fare alla gente comune che in buona parte si divide tra catastrofisti e menefreghisti?

«Purtroppo se ne parla tanto. Entrambi agiscono per un buon fine, perché si ha paura e soprattutto il napoletano magari tenta di esorcizzare, però è un atteggiamento sbagliato. Questo virus non è come l’influenza, come qualcuno dice, questo va assolutamente sottolineato, perché ha una elevata contagiosità, quindi il primo parametro che è diverso dall’influenza e un tasso di mortalità – di cui non abbiamo ancora i numeri definitivi – ma è sicuramente più alto di quello della normale influenza. Il catastrofismo agisce a fin di bene, perché cerca di rendere cosciente la persona che deve seguire delle misure igienico- comportamentali e non deve fregarsene, ma il lato negativo è che può generare panico e il panico crea disorganizzazione. L’unico messaggio importante è quello che si dice, ma deve essere attuato: la quarantena, stare a casa, evitare i contatti anche tra i familiari, come baci abbracci e strette di mano. Gli anziani sono spaventati e per questo mi rivolgo ai giovani, i quali possono essere portatori sani: devono avere, quindi, coscienza e responsabilità in questo momento».

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