Terzo sistema di camorra, i baby-boss ora implorano lo sconto della pena in Cassazione. Fissata infatti per il prossimo 16 aprile la prima udienza del processo contro i rampolli del nuovo clan cittadino, creato dagli ex giovanissimi dei Gionta e dei Gallo-Cavalieri. In totale sette gli imputati che, il 27 febbraio del 2019, vennero condannati in secondo grado a pene per complessivi 57 anni di carcere. A scrivere la pesante sentenza furono i giudici della IV sezione della Corte d’Appello di Napoli. Spietate le motivazioni del verdetto, firmate dall’allora presidente della corte partenopea Eugenio Giacobini: “Il Terzo Sistema presenta i caratteri organizzativi tipici delle associazioni camorristiche tradizionali.
Ne condivide gli scopi e i metodi, ne sposa le regole d’onore interne. Adotta gli stessi metodi retributivi, preoccupandosi di pagare gli stipendi agli affiliati. Persino crea un collegamento con uno dei gruppi storici, coi Gionta, nella gestione di parte delle estorsioni. Dispone di bombe carta, di numerose e micidiali armi”. La gang criminale – secondo l’accusa – è composta da sette emergenti baby-boss, i rampolli fuoriusciti dagli storici clan Gionta e Gallo-Cavalieri. A guidare il terzo sistema di camorra sarebbe la “indiscussa fama” e “il prestigio criminale” del 29 enne Domenico Ciro Perna. Gli avvocati dei baby-boss (oltre al leader Perna, al clan apparterrebbero anche Luigi Gallo, Gennaro Pinto, Bruno Milite, Antonio Longobardi, Vittorio Della Ragione, Salvatore Orofino, tutti torresi e finiti in manette per una sfilza di reati commessi tra il 2015 e il 2016) con il ricorso depositato in Cassazione proveranno a scalfire il teorema accusatorio.
Le difese ribadiranno anche ai giudici di Roma che il cosiddetto terzo sistema di camorra non sarebbe, in realtà, una nuova associazione di stampo mafioso. Accusa che al contrario, unita a quella di illegale detenzione di esplosivi e armi (quattro pistole di cui una calibro 357, un kalashnikov d’assalto completo di caricatore contenente trenta proiettili calibro 7, una mitragliatrice da guerra marca Uzi), l’anno scorso costò ai presunti baby-boss delle condanne esemplari Tredici anni e quattro mesi per Domenico Ciro Perna; 8 anni per Luigi Gallo e per Gennaro Pinto; 7 anni e 4 mesi per Bruno Milite; 6 anni e 8 mesi a testa per Vittorio Della Ragione, Salvatore Orofino e Antonio Longobardi detto Antò. Quest’ultimo, nipote del ras Nicola Balzano “Alfasud”, il 16 gennaio del 2017 chiese un colloquio riservato in carcere al pm della Dda di Napoli Claudio Siragusa. Ma cinque giorni dopo Longobardi ritrattò, giustificando la iniziale richiesta fatta al magistrato “come un segno di debolezza”. Secondo i giudici d’appello “l’avvenuta ritrattazione dimostra ulteriormente la forza organizzativa e la capacità d’intimidazione del clan”. Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado veniva inoltre sottolineata la “violenta esplosione” avvenuta il 12 marzo del 2016 nei pressi della Caffetteria del Corso Vittorio Emanuele, all’angolo con via Bertone, l’ex feudo di camorra dei Gionta. Un attentato “riconducibile a Domenico Ciro Perna.
Il danneggiamento del bar – secondo i giudici d’appello – va a inserirsi nella fase di scontro tra Perna e i clan egemoni sul territorio. L’attività si innesta nel settore delle estorsioni”. Proprio il diretto riferimento alle estorsioni – reato mai sancito in nessun capo d’imputazione – rappresenterebbe ora una carta in mano agli avvocati dei nuovi presunti boss di Torre Annunziata per la loro difesa in Cassazione.