Duemila malati in più in un solo giorno, ma inclusi i 600 che la Lombardia non aveva comunicato martedì per un ritardo nei risultati dei test. La curva di crescita del coronavirus non si arresta ancora e ora cominciano a chiudere anche i simboli del paese: si fermano gli stabilimenti della Fca a Melfi, Cassino e Pomigliano; si ferma la moda, con le griffe di Milano che hanno anticipato le probabili nuove misure: quelle di un Dpcm, al quale sta lavorando l’esecutivo dopo le richieste del governatore della Lombardia Attilio Fontana, per “chiudere tutto”, servizi essenziali esclusi. Un provvedimento, come sollecita parte della maggioranza di Governo, da estendere a tutta Italia. I numeri, d’altronde, da giorni confermano che la situazione è seria: ad oggi sono 10.590 i malati, più della metà in Lombardia che ha anche il più alto numero di ricoverati in terapia intensiva, 560 su un totale di 1.028. E i morti sono arrivati a 827 (di cui 617 in Lombardia), altri 196 in 24 ore. I guariti, invece, sono meno del 10% del totale dei contagiati: 1.045 su 12.462. “Abbiamo dei numeri che fanno sì che i dati possano apparire come un numero elevato, ma in realtà la crescita odierna è nel trend dei giorni scorsi” ha spiegato il commissario Angelo Borrelli spiegando il perché di una crescita che, finora, non si era mai registrata. Che però si sia ancora ben lontani dal picco lo conferma il direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Iss Giovanni Rezza.
“I prossimi 14 giorni saranno cruciali per capire l’andamento dei casi di contagio – ha detto – Gli effetti delle misure restrittive non si vedranno entro questa settimana, anche per quanto successo nei giorni scorsi con i massicci spostamenti da Milano. Per questa settimana mi aspetto un aumento dei casi e non un calo”. C’è dunque anche questo dietro la richiesta quasi disperata del governatore Fontana di chiudere ogni attività non necessaria in tutta la Regione: negozi, mense, uffici che non siano indispensabili. “Non possiamo andare avanti con questi aumenti di contagi, non possiamo permettercelo, va esportato il modello Codogno alla Lombardia”. E l’assessore Gallera aggiunge: “il momento del crash non è lontano, gli ospedali non possono reggere all’infinito”.
Una posizione che non è isolata visto che anche i governatori di Piemonte e Veneto hanno chiesto misure analoghe e diversi presidenti delle regioni del Sud spingono affinché le restrizioni siano estese anche ai loro territori: i presidi sanitari non sarebbero in grado di contenere un’esplosione del virus come accaduto al nord. Ecco perché sul tavolo del governo le opzioni sono diverse: la più immediata è un Dpcm che riguarda solo la Lombardia ma si potrebbe arrivare all’estensione delle misure anche al resto d’Italia. Ed è proprio su questo che è aperto il confronto nell’esecutivo che deve tener conto delle diverse sensibilità al suo interno. Al Pd che sarebbe orientato all’inasprimento delle misure in tutta Italia, si sovrappone Iv che chiede di prendere con calma una decisione univoca ma definitiva.
“Non si può chiudere tutto – dice invece apertamente il vice ministro allo Sviluppo Economico Stefano Buffagni – alcune attività vanno limitate”. E anche da Confindustria Lombardia arrivano dei segnali contrastanti. Al presidente Marco Bonometti che chiede di tenere aperte le aziende, “rafforzando le misure di prevenzione” fa da contraltare una nota del comitato di presidenza nella quale le imprese si dicono disposte a fermarsi se non si possono soddisfare i requisiti di sicurezza. Tocca a Conte mediare tra le diverse posizioni. “Valuteremo tutte le richieste ma invito tutti coloro che partecipano al dibattito pubblico a procedere con grande attenzione e senso di responsabilità – dice il premier – Non affidiamoci a scelte emotive, non vorrei che si iniziasse a chiedere misure restrittive e un domani il Paese si dovesse svegliare e accorgersi che si è concentrato su un obiettivo prioritario”, la salute, ma si sono tralasciati altri interessi Costituzionali, primo tra tutti il lavoro.
C’è poi un problema più tecnico: in caso di provvedimento nazionale, andrebbero elencate tutte le attività che possono restare aperte o meno, per evitare ulteriori confusioni in un momento già difficile per gli italiani”. Ai cittadini che si chiedono ancora come comportarsi nel quotidiano, “il consiglio è sempre lo stesso: uscire per lo stretto necessario e indispensabile”, ripete Borrelli, sottolineando che anche chi si muove a piedi “deve portare l’autocertificazione”. Quanto ai luoghi di lavoro, l’unica vera misura di sicurezza è la distanza di un metro. Nel caso non sia possibile rispettarla “vanno utilizzate le mascherine chirurgiche”