Sulle saracinesche e i portelloni in ferro i cartelloni hanno cominciato a comparire a poco a poco dall’inizio del mese di marzo. Da un giorno all’altro, mentre nei municipi venivano firmate le prime ordinanze per lo stop alle scuole e in città si diffondeva la paura del contagio, gli imprenditori della Chinatown del Vesuvio hanno cominciato a sgomberare e chiudere i locali. Il caratteristico caos di scatoloni ammassati uno sull’altro e cianfrusaglie esposte fin sui marciapiedi ha lasciato spazio alla desolazione.
Sugli sgabelli all’esterno dei negozi non c’è più nessuno, soltanto il passaggio di gatti e cani randagi prova a dare un po’ di colore al rione del commercio cinese oggi diventato silenziosissimo. Sui grossi centri per l’ingrosso e la produzione di abbigliamento, improvvisati bazar, ristoranti etnici e negozi di elettronica hanno “sospeso” le attività. Ufficialmente sono «chiusi per ferie» fino alle fine del mese di marzo, come si legge sui grossi fogli bianchi affissi sulle saracinesche abbassate.
La realtà è che la comunità cinese che vive all’ombra del Vesuvio, tra San Giuseppe Vesuviano e Terzigno, si è auto-isolata. In quarantena volontaria. Per evitare ogni minima diffusione di contagio e per evitare la gogna razzista a cui si avrebbero rischiato di essere esposti qualora avessero deciso di tenere su le saracinesche. Corso Leonardo Da Vinci e Via Passanti, una lingua d’asfalto lunga pochi chilometri e capace di fare da “trait d’union” tra le due realtà della provincia di Napoli, sono deserte. Prima ancora che il premier Conte annunciasse la “zona rossa” su tutto il territorio comunale, avviando il coprifuoco per gran parte degli esercizi commerciali, le attività commerciali gestite da cittadini stranieri avevano già alzato bandiera bianca. Qui i negozi dei cinesi forse riapriranno quando tutto sarà finito, quando l’emergenza Coronavirus sarà definitivamente passata. «Anche noi abbiamo paura», spiega Gennaro che di cognome fa Zhug Wai. Vive in Italia da quindici anni. Lui ha un negozio di abbigliamento e da qualche settimana ha chiuso, oggi gira per le strade di una San Giuseppe Vesuviano deserta e spettrale soltanto per fare la spesa. «Abbiamo deciso di chiudere secondo coscienza. Riapriremo più avanti. Siamo preoccupati per i nostri parenti che vivono in Asia. Ma fortunatamente il fenomeno in Cina è in diminuzione».Aspetti e storie di una comunità popolosa divenuta il fantasma di sé stessa. A San Giuseppe Vesuviano e Terzigno – 3500 cittadini censiti secondo i dati Istat del 2019 – i rioni ghetto dove si concentra la comunità asiatica sembrano svuotati.
Tutti sono chiusi in casa. Gli unici contatti sono quelli con gli agenti della polizia municipale. I caschi bianchi di San Giuseppe Vesuviano – dove non è stato registrato alcun caso di contagio positivo – da giorni hanno avviato controlli su tutta la comunità asiatica, in ottemperanza alle direttive del primo cittadino Vincenzo Catapano, stanno provando a capire chi è tornato dall’Asia nelle ultime settimane così da inserirlo nel registro delle quarantene volontarie e tenere sotto controllo il territorio. Un censimento che fino a questo momento non ha portato grossi frutti. Negli ultimi giorni stanno ricevendo anche le comunicazioni – tradotte in cinese – in merito al nuovo decreto governativo che impone forti limitazioni al commercio e all’imprenditoria.
L’auto-isolamento o quarantena volontaria ha stroncato l’economia locale. Complice il massiccio insediamento tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta anche il sistema economico delle città di San Giuseppe Vesuviano e Terzigno ha cominciato a reggersi sulle centinaia di attività – almeno quelle censite – gestite da imprenditori di nazionalità cinese.Un giro d’affari imponente, capace di cambiare il volto a quello che una volta era il polmone commerciale del mercato tessile della Campania. Per molti anni l’unica ricchezza per gli abitanti di questo territorio è stato il commercio e la produzione di vestiario, ma a partire dagli inizi degli anni 90, con l’arrivo di gruppi di cinesi, tutto il sistema economico-locale ha subito un’immensa trasformazione. Gli imprenditori cinesi, per lo più arrivati all’ombra del Vesuvio dalla periferia rurale del Wenzhou e del Fijian, in pochi anni sono diventati i veri padroni della zona, soppiantando le micro-aziende gestite dagli italiani.
L’emergenza per il Covid-19 ha cambiato tutto, stravolgendo il volto di un’intera comunità diventata il fantasma di se stessa. Costretta a chiudersi in casa fino a che l’allarme per il virus che sta terrorizzando l’Italia non sarà definitivamente passato.