«Sono giorni che non bacio i miei figli. Quando sto per rientrare a casa avverto mia moglie: lei chiude i bambini in una camera e io entro direttamente in una piccola stanza vicina all’ingresso. Resto lì fino a quando devo tornare a lavoro, mentre i miei piccoli non ci possono entrare». L’incubo del virus ha stravolto la vita anche di chi, per mestiere, non può avere paura. Di chi deve guardare negli occhi le persone che potrebbero essere contagiate ed è chiamato a fare quel tampone che stabilirà se il paziente è affetto o meno dalla polmonite interstiziale. Sono gli angeli delle ambulanze «quelli in prima linea», dicono loro.
E non hanno torto. Perché prima ancora dell’arrivo in ospedale tocca a loro affrontare i casi sospetti. Sono preparati, applicano in modo maniacale il protocollo e hanno imparato a convivere con la paura: «Tra 10 giorni farò il tampone, così come previsto dall’Asl perché assieme ai miei colleghi, essendo tra i più esposti, devo seguire la profilassi – spiega un operatore del 118 – Il rischio c’è, è alto, ma è il nostro lavoro e non possiamo fermarci in questo momento di emergenza ».
Anche perché gli interventi aumentano ogni giorno: «All’inizio è stato più difficile, oggi invece i casi vengono gestiti prima al telefono e quando arriviamo sul posto i pazienti sono già preparati – spiega – Sanno che siamo lì per fare il tampone». Paradossalmente le difficoltà sono altre: «L’altro giorno subito dopo un intervento ho scattato una foto a una persona che ha ripreso con il cellulare il nostro intervento all’interno di un palazzo. Gli ho detto “se vedo qualcosa pubblicato in giro sui social, ti querelo” – racconta l’operatore del 118 – Molti dimenticano che è vietato, che sia i pazienti che noi abbiamo diritto alla privacy.
Ma soprattutto non comprendono che il loro atteggiamento crea panico e in questo momento è l’avversario più difficile da affrontare. L’altro giorno cominciò a girare una foto di un intervento sui social e alcune persone, anche di un palazzo accanto, non volevano farci andare via perché pretendevano che facessimo il tampone anche a loro. Mentre noi avevamo già ricevuto indicazioni per un altro intervento urgente. Servirebbe maggiore responsabilità da parte di tutti e soprattutto capire che anche con un cellulare si possono fare danni».
Una situazione che appesantisce turni già massacranti: «Dovremmo lavorare 6 ore in modo ordinario, ma ormai quasi tutti i giorni ne facciamo 12, il massimo consentito dalla legge, garantendo le altre 6 per i trasferimenti – racconta l’operatore – Ci hanno bloccato anche le ferie, però non ci garantiscono indennità».
Questo è uno dei passaggi fondamentali. L’Asl Na 3 Sud ha bloccato due ambulanze che vengono utilizzate solo per i casi di Coronavirus e agli operatori impegnati in questo servizio spetterebbe l’indennità per la malattia infettiva e la subintensiva. Una sorta di riconoscimento del rischio in busta paga «previsto dalla legge, che però non ci viene garantito – conclude l’operatore del 118 – E’ una questione morale, prima ancora che economica.
Noi ci siamo e facciamo il nostro dovere in modo scrupoloso, anche in questa fase di emergenza. Ma oltre al danno di non avere contatti con i miei figli, il rischio di contrarre il virus, c’è anche la beffa di non poter portare a casa un riconoscimento per questi sacrifici».