Si setaccia l’intero percorso. Dalla prima macchia di sangue all’isolato D a tutte le macchie che si trovano lungo l’asfalto fino alla scala G del civico 10 delle palazzine popolari del Piano Napoli dove nella notte tra martedì e mercoledì è stato ucciso Antonio Rivieccio, pregiudicato di 31 anni di Torre del Greco. Crivellato di colpi, almeno sei e due di questi andati a segno. Da quella scala e dalle testimonianze di chi lo ha visto accasciarsi al suolo prima di aver tentato la fuga, si parte per ricostruire la dinamica e la verità dell’agguato.
Gli interrogatori
Lo hanno trasportato in ospedale a bordo di una macchina. La corsa disperata per cercare di salvargli la vita nonostante le sue condizioni fossero disperate. Dal Piano Napoli di via Settetermini al nosocomio di via Lenze a Boscotrecase, pochi chilometri ma che non sono serviti al giovane. Eppure, in auto, il 31enne era con loro: i suoi familiari che disperatamente hanno implorato, con rabbia e dolore i medici nel salvargli la vita. E sono loro a finire sotto i riflettori. Sono, al momento gli unici testimoni dell’agguato che si è consumato all’isolato D delle palazzine popolari. Hanno sentito i colpi di arma da fuoco, hanno visto Antonio trascinarsi per ripararsi dal piombo e poi lo hanno visto morire. Potrebbero aver visto il killer ed è per questo che sono stati sottoposti ad interrogatorio in cerca di almeno un elemento utile per ricostruire l’intera dinamica del delitto.
Sottotorchio la fidanzata
Per ore, in stato di choc. Con gli occhi colmi di lacrime e la morte nel cuore. Prima il silenzio, poi la rabbia ed infine quella richiesta «chi me lo ha ucciso». Lo chiede alle divise che si trova di fronte, mentre a singhiozzo ripete il nome del suo amore. E’ la giovane fidanzata di Rivieccio che non si capacita su quanto accaduto. Lo ha visto in una pozza di sangue, nemmeno il tempo di salutarlo. Per gli inquirenti quella ragazza dai lunghi capelli neri potrebbe conoscere la verità. Ma per ora, nonostante sia rimasta sottotorchio per ore non ha fornito nessun elemento utile. Ieri l’ultimo messaggio pubblicato sulla sua pagina Facebook, «amore mio mi hai lasciato un vuoto dentro, mi avevi promesso che mai mi avresti lasciato più sola ma a volte la vita è così, aspettami che io verrò presto da te e insieme continueremo la nostra favola. Sei stato l’uomo che mi ha reso felice ma una felicità durata poco ma io continuerò ad amarti da qui a 100 anni ancora» in calce lo scatto, una foto scattata qualche ora prima del massacro.
Perquisizioni
Hanno effettuato perquisizioni nell’appartamento di Antonio Rivieccio, in quello della compagna e alcuni suoi familiari. Ma si scava anche nella vita di alcuni amici del giovane e da questi si parte. Che il trentunenne fosse nel Piano Napoli a quell’ora non lo sapeva solo la fidanzata e i suoi familiari ma, secondo gli inquirenti, anche qualcun altro. Una persona vicina ad Antonio, di cui Antonio si fidava ciecamente. Qualcuno a cui Antonio ha riferito di essere tornato a casa, di aver intenzione di cambiare vita e di stare lontano da guai. E’ un elemento che non viene sottovalutato. Ecco perché appena due ore dopo l’agguato e il decesso dell’uomo le divise sono piombate in alcune delle palazzine del Piano Napoli. All’isolato D del civico 10 e hanno messo a soqquadro alcuni appartamenti di alcuni pregiudicati. Non si lascia fuori nessun dettaglio e si scava anche nei rapporti del giovane con alcuni esponenti della famiglie criminali non solo di Torre del Greco ma anche e sopratutto di Boscoreale. Nessun collegamento viene tralasciato che potrebbe svelare il clima dove è nata la sentenza di morte. Per ora resta in piedi sia la pista passionale che uno sgarro legato a vecchi regolamenti per i suoi precedenti.
Caccia al killer
Intanto non si ferma la corsa disperata degli investigatori al killer e in particolare si cerca di capire a chi appartiene il casco ritrovato all’interno della scala G nell’isolato oggetto dell’agguato. Un casco nero, a terra, a pochi millimetri dalle macchia di sangue e che potrebbe condurre proprio all’identità del killer. Forse lo aveva addosso quando ha premuto il grilletto a bruciapelo sul trentunenne. O forse lo aveva lasciato lì un complice, o ancora potrebbe appartenere alla vittima. Una serie di interrogativi difficili ai quali dare una risposta ma sui quali si stanno concentrando le attività investigative delle forze dell’ordine.